- by Conscious Journeys
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Parliamo di overtourism quando ci troviamo in presenza di un ‘eccesso’ di turismo, ovvero di un afflusso smodato di viaggiatori nelle varie mete di destinazione (con tutte le conseguenze del caso). Questo termine è stato coniato da Rafat Ali che ha fondato nel 2012, assieme a Jason Clampet, la società di analisi nell’ambito dei viaggi. La società si chiama ‘Skift’ Inc. ed è una società di comunicazione che fornisce servizi di notizie, ricerca e marketing per l’industria dei viaggi.
Siamo in presenza di overtourism nel momento in cui l’eccessivo afflusso di turisti in una specifica meta va a compromettere i parametri relativi alla qualità della vita della popolazione del luogo, causando per di più un innalzamento dell’inquinamento e l’esponenziale crescita del degrado ambientale. Questa piaga, causata dall’atteggiamento predatorio (anche in questo ambito) di persone inconsapevoli, colpisce indistintamente città, parchi naturalistici, spiagge, catene montuose (le recenti condizioni dell’Everest ne sono un triste esempio) e isole.
Purtroppo, attualmente, l’enorme sviluppo del settore viaggi è stato visto come un segno di un progresso a livello economico ma non ci si è soffermati su quale prezzo ci si ritrovi a pagare per questa evoluzione tossica. Se vogliamo che il turismo apporti un concreto vantaggio all’ambiente e alla comunità che ospita il viaggiatore, è fondamentale che si attuino delle politiche volte a preservare la ricchezza della cultura, delle tradizioni e delle bellezze naturali di queste destinazioni così che possano ottenere dei benefici non solo a breve termine ma anche nel lungo periodo.
Ultimamente, per fortuna, ha iniziato a farsi strada il concetto di ‘qualità di vita’, aspetto fondamentale per garantire alle popolazioni delle mete turistiche quel rispetto che gli è dovuto secondo i criteri etici della cooperazione.
Il motivo per cui si è sollevato il velo che celava questo pesante problema è da ricercarsi nei numerosi malcontenti e dimostrazioni di ostilità nei confronti del turismo di massa, verificatesi in diverse parti del mondo, comprese alcune città europee tra le quali la trafficata Barcellona e la nostra Venezia.
Tra le cause scatenanti dell’overtourism possiamo annoverare la progressiva crescita degli spostamenti dei viaggiatori a livello globale, consentita dall’incremento dei cosiddetti voli ‘lowcost‘, che hanno facilitato l’accesso ai viaggi anche di lunga percorrenza.
Oltre ai voli a basso costo, molte delle località prese letteralmente d’assalto dai turisti, salgono agli onori della cronaca e diventano appetibili grazie all’uso massiccio dei social da parte dei viaggiatori standard, ovvero coloro che praticano un tipo di turismo superficiale, volto a inserire nella propria lista dei paesi visitati l’ennesima destinazione raggiunta e poco importa se si è visitato quel luogo in modo distratto, giusto il tempo di scattare qualche foto da postare sul proprio profilo in cerca di ‘like’ o per acquistare il tradizionale souvenir al mercato del posto.
Un’altra spina nel fianco che rafforza l’overtourism è una carente programmazione dei flussi turistici da parte delle istituzioni ed enti che fanno capo al ministero del turismo del Paese che ospita (a volte anche dello stesso governo) che interpretano l’incremento del turismo solo come un segnale positivo di una ripresa economica, non considerando del tutto l’effetto di ricaduta che ciò ha sulla comunità locale e sull’ambiente.
Tra le varie conseguenze del fenomeno dell’overtourism al primo posto possiamo trovare il senso di oppressione che la popolazione residente subisce a causa dell’affollamento dei turisti che incombe in modo pressoché costante sulla comunità. Il primo e più marcato disagio della popolazione è infatti quello di vedere progressivamente sgretolarsi la propria identità territoriale, la propria naturale unicità a causa del soddisfacimento delle necessità dei turisti a discapito degli abitanti stessi, compreso un’impennata dei costi relativi ai beni di prima necessità o degli alloggi. Sappiamo che il potere d’acquisto della popolazione di un Paese in via di sviluppo, come potrebbe essere il continente asiatico, è sicuramente differente da quello di un europeo, da qui ne derivano disparità e frustrazioni che contribuiscono ad ampliare la frattura tra le realtà ospitanti e i viaggiatori che le visitano.
Altro grosso problema è il fenomeno dell’eccessivo flusso di turisti che si riversa nelle città e nei centri minori, affollando a tal punto il luogo che risulta difficile a loro stessi riuscire a visitare i monumenti o le bellezze del posto, senza contare il danno subito dalla fauna delle località naturalistiche che, a causa di questo problema, tende ad allontanarsi ritirandosi, disturbata da tanta confusione, soluzione spesso adottata anche dalle comunità locali che si sottraggono per non subire questo continuo disagio.
Una conseguenza naturale di questa situazione è quella della speculazione sugli affitti. Chi possiede una casa in zone turistiche, spesso preferisce affittare a turisti anche per brevi periodi, per ottenere un guadagno maggiore. Così, a causa di questa politica del ‘mordi e fuggi’, si verificano aumenti nei prezzi dei canoni mensili, variazione che la popolazione de luogo non può permettersi di affrontare e, per questo motivo, ripiega nella periferia o ancora più lontano. Tale fenomeno vede le città o i luoghi di villeggiatura più famosi trasformarsi in nuclei costellati di strutture ricettive e una conseguente progressiva diminuzione delle abitazioni stabili degli abitanti locali.
A questo scenario che incombe su territori di splendida bellezza, si aggiungono anche altri due problemi di non facile soluzione: l’inquinamento dell’ambiente e la conseguente devastazione dell’intero ecosistema. Il grande traffico che intasa e intossica le città, l’incremento dei rifiuti, la costruzione selvaggia per offrire sempre più ospitalità ai turisti, avvelena e distrugge qualunque ecosistema, trasformando in modo pressoché radicale la struttura e l’economia del luogo.
Non è difficile reperire informazioni su questo triste fenomeno, purtroppo. I telegiornali spesso danno notizie in merito al grado inquinamento rilevato in molti ‘paradisi’ del nostro pianeta. Primo fra tutti il Monte Everest, dove sono stati ritrovati rifiuti in quantità industriale, abbandonati in questo tempio della natura da turisti senza scrupoli che si sono liberati di oggetti di ogni tipo senza la benché minima remora e sensibilità, dimostrando un cinismo di grado veramente elevato! Altro paradiso a rischio sono le barriere coralline dei luoghi di villeggiatura che hanno visto sparire drammaticamente la quasi totalità della fauna marina e dei coralli a causa dell’eccessiva presenza di persone che calpestavano senza ritegno i fondali, delle manovre delle imbarcazioni destinate ai turisti, agli scarichi delle strutture ricettive che vanno direttamente in mare e all’enorme quantità dei rifiuti abbandonati sulle spiagge o peggio in acqua.
È chiaro che non esiste una soluzione unilaterale per questa difficile situazione. Appare dunque indispensabile agire in modo specifico a seconda dell’ambito che stiamo trattando. Non possiamo dunque parlare di una ‘panacea’ generale che risolva magicamente l’overtourism. La logica ci suggerisce che il primo attore di questa auspicabile inversione di tendenza sono le varie amministrazioni o enti locali preposte al turismo del luogo. Sono proprio questi organismi che possono infatti intervenire varando dei provvedimenti utili a contrastare il fenomeno come:
Vi sono alcuni accorgimenti che in prima persona possiamo adottare nel momento in cui decidiamo di visitare un altro paese, città o nazione. Ciascuno di noi può fare la propria parte in questa lotta alla costante distruzione delle meraviglie del nostro pianeta. Prima di tutto possiamo decidere di viaggiare in periodi diversi dell’anno rispetto alle scelte che fanno di solito la maggior parte dei viaggiatori, evitando di scegliere come meta i luoghi più gettonati, prediligendo invece destinazioni differenti ma non per questo meno interessanti.
Possiamo anche scegliere di prediligere viaggi organizzati con un gruppo minimo di persone, evitando di accodarci a tour con troppe presenze proprio per non impattare negativamente sul luogo di destinazione, particolare che noi di Conscious Journeys curiamo con molta attenzione. O ancora possiamo decidere, una volta giunti sul posto, di spostarci nelle varie zone con mezzi pubblici ed evitare di produrre rifiuti in modo sconsiderato.
Come sempre accade, per la risoluzione di un problema è richiesta un’azione ‘corale’ che parta dalle autorità deputate a quel particolare settore e che veda coinvolta in primis la popolazione della comunità locale alla quale si devono affiancare gli stessi viaggiatori, in uno sforzo comune orientato ad innescare una positiva inversione di tendenza.
L’augurio è che la sensibilità e la consapevolezza trionfino sull’opportunismo e sulla ricerca spasmodica del profitto: due piaghe che rischiano di danneggiare in modo irreparabile dei veri e propri paradisi.
Noi di Conscious Journeys abbiamo particolarmente a cuore la situazione nel continente Asiatico, meta turistica per la quale da anni ci battiamo con l’intento di promuovere buone pratiche che possano produrre benessere ai vari Paesi e contemporaneamente permettere ai turisti di fare esperienze di valore in questi territori.
È innegabile che il turismo sia, ad oggi, un’industria in piena espansione e l’Asia, con i suoi punti panoramici e il fascino esotico, è una delle mete preferite dai viaggiatori. Ma come abbiamo visto, negli ultimi anni sono aumentate le preoccupazioni che, un turismo eccessivo, possa essere la fine delle meraviglie naturali del Sud-Est asiatico. Ci chiediamo dunque in che modo questi Paesi riusciranno a trovare un equilibrio tra il perseguimento della crescita economica e la necessità di una protezione ambientale.
I vantaggi economici del turismo sono innegabili. A partire dal 2018, il settore dei viaggi e del turismo costituisce circa il 10,4% del prodotto interno lordo (PIL) globale e, la maggior parte dei posti di lavoro nel mondo, provengono da questo settore.
Le nazioni in via di sviluppo di tutto il mondo, dunque, si sono rivolte al turismo come fonte chiave di reddito. Per molti paesi asiatici, le loro bellezze naturali e ambientali sono anche la loro più grande risorsa. Paesi come Maldive, Thailandia, Indonesia e Filippine attirano milioni di turisti che si riversano sulle loro splendide isole e spiagge.
Di seguito vediamo la percentuale che i viaggi e il turismo in generale, riversano sul PIL del Paese (dati al 2018).
Ciò purtroppo significa anche che questi ambienti, biologicamente ricchi e incontaminati, sono vulnerabili agli impatti negativi dell’overtourism.
Mentre l’Europa resta comunque ancora tra le zone preferite al mondo, l’Asia ha avuto una crescita più rapida per quanto riguarda gli arrivi internazionali dal 2005, con un incremento medio di circa il 6% ogni anno. Dagli anni ’90, sono i paesi del sud-est asiatico come la Cambogia, Laos e Myanmar che hanno visto il maggiore aumento di turisti, mentre la Thailandia è stata tra i primi dieci paesi più visitati al mondo nel 2017. Si prevede che l’Asia avrà il maggior volume di arrivi internazionali di visitatori entro il 2022.
Il turismo ha indubbiamente contribuito ad alimentare la creazione di posti di lavoro per molte comunità locali in Asia ed ha limato il divario tra i paesi ricchi e i paesi poveri specialmente nel Sud-Est asiatico. I turisti di solito fluiscono da paesi più sviluppati a paesi meno sviluppati e i il denaro che spendono nelle destinazioni di vacanza, aiuta in qualche modo a ridurre la povertà delle comunità locali.
Ma tutto ciò, come abbiamo spiegato nei paragrafi precedenti, ha un prezzo. Il sovraffollamento, la congestione del traffico, la cattiva gestione dei rifiuti sono solo alcuni dei molti pericoli del turismo mal gestito. Tuttavia vi sono conseguenze ben più gravi causate dall’overtourism, come la perdita di biodiversità, l’estinzione della fauna selvatica, lo spostamento della comunità e l’inquinamento derivante dall’aumento del traffico nei trasporti e nella massa di persone.
L’ascesa dei social media nell’ultimo decennio ha cambiato drasticamente il panorama di molte industrie, incluso il turismo. I social media sembrano essere il più grande motore di una maggiore pressione sui siti naturali. Il tag #travel solo su Instagram ha circa 421 milioni di post pubblici. È stato creato un ‘neologismo’: Instagrammability, una parola usata per descrivere se una posizione è abbastanza bella da essere fotografata e condivisa su Instagram. Questo termine è diventato il fattore più importante ed appetibile per i millennial quando devono scegliere le loro destinazioni di viaggio. Non c’è da meravigliarsi dunque che andranno ad affollare destinazioni che daranno loro il maggior numero di follower, tanti ‘like’ e commenti.
È facile intuire in che modo ciò ha avuto un impatto sulle località nel Sud-Est asiatico, soprattutto perché la vita delle isole e le bellissime spiagge sono le più grandi attrazioni della regione. A Boracay, una splendida isola che si trova appena fuori dalla punta nord-occidentale dell’isola di Panay, nelle Filippine, l’overtourism e i post degli influencer di Instagram hanno causato il caos. Conosciuta per le sue spiagge di sabbia bianca e paesaggi mozzafiato, ha attirato due milioni di turisti solo nel 2017. L’isola ha costruito molti hotel e resort per soddisfare le crescenti esigenze turistiche, ma tutto ciò non è andato di pari passo ad uno sviluppo infrastrutturale sufficiente a sostenere il flusso turistico. A causa della mancanza di un corretto trattamento delle acque reflue sull’isola, le acque intorno a Boracay hanno iniziato ad avere un cattivo odore e a sviluppare fioriture di alghe.
In molti paesi asiatici bilanciare la necessità di sviluppo economico e la conservazione di ambienti naturali oltre alle bellezze architettoniche costruite in millenni di storia, è una vera e propria sfida. In sostanza, raggiungere un tipo di turismo sostenibile è sempre stato piuttosto difficile e non sempre si è riusciti nell’intento, a parte alcuni casi specifici.
In Cambogia, le popolazioni di delfini del lago Tonle Sap hanno subirono una perdita significativa quando furono eliminate crudelmente per far posto all’estrazione del petrolio durante le guerre in Indocina. Quando le popolazioni di delfini si ripresero naturalmente, la gente del posto vide un’opportunità di lavoro e permise che si realizzassero tour di osservazione dei delfini a terra nei primi anni ’90. Questo incrementò la popolarità del sito, e la conseguenza fu un’espansione delle aziende che gestivano i tour. Inoltre i turisti, in quel periodo, stavano costantemente disturbando i delfini in quanto non c’erano regolamenti in atto per limitare la loro interazione con questi splendidi e intelligenti mammiferi. Ciò ha inevitabilmente portato, alla fine, a un declino significativo della colonia di delfini.
A un certo punto il governo cambogiano intervenne sperando di riuscire a gestire i tour operator e l’afflusso di turisti. Ciò nonostante il governo non è riuscito ad attuare un sistema efficiente per la depurazione delle acque e questo ha lasciato che prendesse piede una totale disorganizzazione che ha coinvolto tutte le imprese del luogo, impegnate in priorità diverse (concorrenza e corsa al profitto) piuttosto che concentrarsi sulla preservazione del territorio.
A causa della gestione governativa fallimentare, ONG del calibro di WWF si sono viste costrette ad intervenire assumendo abitanti dei villaggi locali come guardie fluviali, pattugliando e proteggendo le aree dell’habitat dei delfini. Mentre questo ha contribuito a recuperare un piccolo numero di colonie di delfini, non ha però purtroppo affrontato l’inefficacia del governo nella gestione equa del turismo naturalistico e nel garantire un reddito equo alla comunità locale.
Eppure, l’intervento del governo, se applicato in modo appropriato, può essere incredibilmente efficace. Per Boracay, il presidente filippino ha ordinato la chiusura dell’isola per sei mesi nell’aprile 2018, per tentare di limitare i danni e per invertire la tendenza. Quando ha riaperto, i numeri giornalieri di arrivo turistico sono stati limitati a 6.000 mentre il numero totale di persone che soggiornano sull’isola in qualsiasi momento non poteva superare i 19.000. Anche la plastica monouso è stata da allora vietata sull’isola.
Allo stesso modo nella baia di Maya in Thailandia, che è diventata famosa grazie al film “The Beach” del 2000, è un altro posto nel Sud-Est asiatico che ha sofferto di overtourism. Con 5.000 turisti che si spostavano e nuotavano nelle sue spiagge ogni giorno, i coralli cominciavano a morire, e l’intero ecosistema marino era sull’orlo del collasso. Il governo thailandese è così intervenuto e ha chiesto la chiusura di Maya Bay al turismo dal 2018 fino alla metà del 2021, dando il via ai progetti per la propagazione dei coralli. Quando riaprirà, i numeri turistici giornalieri consentiti potrebbero essere limitati a 2.400 al giorno. Si spera che ciò possa dare agli ecosistemi marini la possibilità di ritrovare il loro equilibrio e di ripristinarsi secondo le leggi naturali.
La chiusura delle isole è solo una delle tante soluzioni nella lotta contro l’overtourism. In Bhutan viene imposta una tassa per gestire e garantire un turismo sostenibile. Per visitare il Bhutan, infatti, i turisti devono impegnarsi a pagare una tariffa forfettaria obbligatoria compresa tra i 200 e i 250 dollari, a seconda della stagione. Anche se il Bhutan impone una tassa di elevata entità, ciò viene ammortizzato dall’offerta di alloggi e guide di buona qualità, garantendo che ai turisti sia data un’esperienza preziosa e significativa, mantenendo al contempo un basso impatto sulla cultura e sul paesaggio del paese. Il successo della soluzione adottata dal Bhutan con la sua tassa di soggiorno ha ispirato altri paesi a seguirne l’esempio.
Un’altra soluzione fattibile per combattere l’overtourism è attraverso iniziative adottate dagli enti locali. A Donsol, nelle Filippine, lo snorkeling con gli squali balena è un’attività popolare. Gli sforzi di conservazione e la ricerca a livello locale sono alla base del turismo sostenibile, in questo caso. Il Large Marine Vertebrates Institute (LAMAVE) è un gruppo di conservazione con sede nelle Filippine che lavora con altre ONG internazionali e i pescatori locali per aiutare a controllare le interazioni degli squali balena con regolamenti rigorosi. Questi regolamenti includono la limitazione della distanza dei turisti dagli squali e il contenimento del numero di imbarcazioni turistiche per ogni visita. LAMAVE svolge anche ricerche sugli squali balena attraverso il tracciamento dell’identificazione fotografica per comprendere meglio la popolazione locale ai fini della gestione del turismo.
Dato che il Sud-Est asiatico dipende fortemente dal turismo come motore economico, forse è necessario commercializzare responsabilmente il turismo in questa area del pianeta in modo tale da rispecchiare gli intenti delle buone pratiche monitorandone i risultati. Ciò può garantire che il settore sia gestito con attenzione per evitare lo stress causato dall’overtourism e degli effetti negativi sulla popolazione locale, senza compromettere il soddisfacimento delle esigenze economiche e del turista stesso.
Nel panorama del lavoro svolto per mitigare i problemi dell’overtourism, l’ostacolo maggiore rimane la mancanza di coordinamento delle parti interessate. Per il turismo sostenibile, infatti, è necessario un sostegno sufficiente da parte dei governi locali, come buone infrastrutture, norme rigorose e un’adeguata applicazione. In caso contrario la comunità locale, sia in ambienti naturali che nelle strutture, non sarà in grado di arginare i pericoli di questo problema. Di conseguenza, se ben gestito, il turismo può certamente essere un potente motore economico per le comunità locali del Sud-Est asiatico a patto che sia gestito in modo responsabile da tutti gli attori coinvolti.
Conscious Journeys si batte da sempre per incrementare il turismo consapevole e preservare questi meravigliosi territori dal rischio di essere cannibalizzati da orde di turisti fuori controllo. La nostra cura per questi Paesi, caratterizzati da inestimabile valore culturale e paesaggistico, si esprime attraverso le iniziative che creiamo per coinvolgere la popolazione locale e le stesse istituzioni. Grazie al nostro impegno nel tempo siamo riusciti a sostenere progetti diversi che hanno contribuito a dare opportunità alla comunità di creare una propria autonomia economica al riparo dallo sfruttamento indiscriminato.
Tutti i nostri tour sono stati pensati e realizzati tenendo conto di questi valori di base, ecco perché partire con noi significa contribuire a rafforzare un cordone di protezione attorno ad ogni singola destinazione.
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