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Il saree, detto anche sari o shari è un abito tradizionale indossato dalle donne indiane le sue origini sono antichissime. Si pensa, infatti, che possa risalire al 100 a.C. quindi è, molto probabilmente, uno dei pochi capi di abbigliamento ad avere una storia così antica. Le prime descrizioni di questa raffinata tipologia di abito, tessuto a mano con il telaio, risalgono però già al periodo della civiltà della valle dell’Indo datata tra il 3200 e il 2000 a.C. Il sari è l’abito tradizionale anche in Nepal, Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh.
Il vestito indiano sari è formato da una striscia di stoffa larga grosso modo un metro e lunga tra i quattro e i nove metri. Le donne indiane lo indossano avvolgendo la stola di stoffa intorno al corpo in modalità differenti che possono variare in base alla funzione che svolgono o alla circostanza.
Di norma lo stile classico per indossare il sari indiano è denominato Nivi. Questa foggia distintiva di portare il saree è nata nella regione dell’Andhra Pradesh, uno Stato dell’India centro-orientale prospicente al golfo del Bengala. Lo stile Nivi prevede che il sari indiano sia avvolto attorno al punto vita mentre una delle estremità viene fatta girare sopra la spalla. La consuetudine è che le donne indiane indossino il sari sopra un corto bustino, una maglietta aderente che prende il nome di choli mentre i disegni e colori delle stoffe si differenziano in base ai vari orientamenti religiosi.
Il vocabolo sari ha origini sanscrite e significa letteralmente ‘striscia di stoffa’. Secondo la tradizione, il sari è uno dei tre elementi che componevano l’abbigliamento femminile tradizionale e il suo nome arcaico nella popolare cultura sanscrita era sattika.
Come abbiamo già accennato, il sari moderno è tipicamente indossato sul choli (l’antico Stanapatta), il corpetto che lascia l’ombelico scoperto. Oggi possiamo ritrovare i sari indiani in varie combinazioni, ovvero indossato su pantaloni con pieghe in vita, su pantaloni aderenti ma anche sopra i jeans.
In un’opera letteraria di Kalhan (poeta indiano) risalente al decimo secolo, chiamata “Rajatarangini” (letteralmente ‘fiume dei re’) si dice che il choli del Deccan, un altopiano che occupa la maggior parte della penisola indiana, era stato adottato come componente dell’abito tradizionale in Kashmir per ordine del re dell’epoca. Il sotto-abito, o gonna interna, la parte inferiore del vestito sul quale si drappeggia il saree si chiama ‘parkar’.
Come già accennato, si ha notizia del sari nella narrazione storica dell’abbigliamento tradizionale indiano già durante il periodo relativo alla Civiltà della Valle dell’Indo, nelle zone a nord ovest dell’India, nel suo periodo più florido ovvero tra il 2800 e il 1800 a. C.
Dalle cronache del tempo sappiamo che la coltivazione e la tessitura del cotone in India iniziò circa verso il quinto millennio a.C., mentre la seta fu introdotta tra il 2450 a. C e il 2000 a.C.
Le tecniche di colorazione dei tessuti che venivano utilizzate già a quell’epoca sono tuttora in uso e adoperano elementi naturali, specialmente la curcuma, l’indaco, la rubia e la lacca.
È noto che la tecnica della tessitura si diffuse in India partendo dalle civiltà della Mesopotamia, ecco perché le popolazioni della Valle dell’Indo erano a conoscenza di questo tipo di lavorazione delle fibre naturali e già all’epoca erano solite indossare lunghi teli di cotone o lino, che ovviamente non venivano ancora identificati nel tradizionale vestito indiano sari, appartenente a una tradizione successiva.
In antichi documenti storici ritrovati dagli studiosi è emerso che questo tipo di abbigliamento non era circoscritto alla sola Valle dell’Indo o alla Mesopotamia ma era assai diffuso in Assiria, in Egitto e tra la popolazione Sumera, come dimostrano alcuni ritrovamenti archeologici.
Sono poi state documentate influenze provenienti anche dalla Grecia e dalla Persia che hanno determinato trasformazioni importanti nello stile di abbigliamento per ogni tipo di abito relativo alla tradizione indiana.
Nel corso del tempo il saree si è trasformato, infatti originariamente era composto da tre pezzi:
Questa composizione è così antica da essere stata citata anche nella letteratura sia sanscrita che buddista (Pali) durante il sesto secolo a.C.
I singoli indumenti poi, a loro volta, si sono evoluti individualmente.
L’originaria Antriya, molto simile alla sua versione maschile dhoti in forma di ‘coda di pesce’, che si indossava facendola passare fra le gambe per poi coprirle trasformandosi nel pezzo superiore arricchito da pieghe, è diventata nel corso del tempo una gonna definita Bhairnivasani, meglio conosciuta oggi con i nomi di ghagri e lehenga.
L’Uttariya in origine era una sorta di scialle o velo che veniva portato poggiandolo su una spalla o sulla testa e, ad oggi, si è modificato ed è attualmente noto come dupatta o ghoongat.
Ciò è accaduto anche con lo Stanapatta, che si è trasformato in choli sin dal primo secolo d.C. Fu così che, nell’intervallo di tempo che intercorre tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. i capi Antriya e Uttariya sono stati uniti a formare un unico capo di abbigliamento, con l’intento di avere il vantaggio di un solo indumento composto da due pezzi, che prese poi l’attuale nome di sari e come tale è nominato anche negli scritti di letteratura pali.
In vari componimenti dell’epoca, come il Kadambari (un’opera letteraria di tema romantico redatta in sanscrito) cominciata da Banabhatta e terminata da suo figlio Bhushanabhatta, così come nelle antiche poesie della letteratura Tamil come il Silappadhikaram, si ritrovano menzioni al vestito indiano sari poiché viene decantata la bellezza delle donne fasciate in questo delicato e prezioso indumento.
In antichità, sebbene le donne indiane portassero il sari con l’accortezza di coprire il ventre, gli scrittori del Dharmaśastra (un insieme di testi in sanscrito che trattano di diritto e codice legale dal punto di vista laico e religioso) avevano ribadito l’importanza, per le donne, di coprire sempre l’ombelico per cui, per molto tempo ancora, la questione se mostrare o meno l’ombelico divenne un vero e proprio tabù.
Nonostante ciò, nelle antiche tradizioni e nel Natya Shastra (un antico trattato indiano che parla nello specifico di danza e costumi) l’ombelico esposto nelle rappresentazioni della divinità era ritenuto sorgente di vita e di creatività, ragione per cui il ventre doveva essere visibile e lasciato scoperto dal sari.
Nei primi scritti della letteratura sanscrita è presente una vasta terminologia che descrive il velo o scialle che è parte integrante del sari indiano.
Abbiamo infatti il termine Avagunthana, che indica il velo o mantello, poi abbiamo l’Uttariya ovvero il velo da spalla, il Mukha-pata, il velo destinato a coprire il viso e il Sirovas, il velo da mettere sulla testa.
In molte altre opere dell’epoca, compreso un testo commedia realizzato da Bhasa, un drammaturgo vissuto in quel tempo, si parla del velo-mantello Avagunthana e si afferma che tale indumento permette alle donne di apparire in pubblico durante le funzioni religiose o alle feste di matrimonio, essendo protette alla vista per le parti che devono essere appunto celate. Concetti simili li ritroviamo illustrati anche in alcuni altri scritti di letteratura sanscrita. Un altro drammaturgo di quel periodo, Sudraka, autore di un dramma in sanscrito composto da dieci atti (Mṛcchakatika, una storia che si svolge nel V secolo a.C.) afferma che il velo Avagaunthaha non era usato di frequente, ovvero ogni giorno e in qualunque situazione. Sudraka infatti sottolinea che il velo era considerato di uso comune per le donne sposate e ciò ci fa comprendere che probabilmente non era indispensabile per le donne che ancora non lo fossero. Dunque era opinione comune e consolidata, al tempo, che una donna sposata portasse il velo quando si trovava in pubblico.
Intorno al III secolo d.C. si ha notizia di uno sforzo, da parte dei buddisti Mahayana, di ostacolare la diffusione dell’utilizzo del velo tramite gli insegnamenti contenuti nel sutra Lalitavistara, il sutra della tradizione Mahayana che descrive la vita di Gautama Buddha.
L’usanza delle donne sposate di mostrarsi coperte dal velo è tuttora molto diffusa nelle zone in cui è prevalente la presenza di lingua Hindi dove è conosciuta alla maniera Ghoonghat, la parte libera del sari che si sposta sul capo, così da utilizzarla come velo per il viso.
In base a specifici studi effettuati su sculture e pitture, si è giunti poi alla conclusione che anche il choli abbia subito varie trasformazioni tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C. cambiando la propria struttura, le decorazioni e i ricami della tradizione.
Nell’India del Sud il choli è chiamato anche ‘ravikie’ e si presenta come legato sulla parte anteriore piuttosto che sul retro, con un ricamo particolare detto Kasuti elemento tradizionale del choli specifico per questa regione. Anche in Nepal il choli è legato abitualmente sul davanti e prende il nome di cholo o chaubandi.
In genere, per i sari da indossare durante il matrimonio, le spose scelgono il classico colore rosso che è considerato il colore tradizionale per l’abito nuziale.
Sempre in base alle usanze del luogo di appartenenza, le donne indiane indossano differenti tipi di sari realizzati artigianalmente tra i quali quelli in cotone, in seta, ikat (un particolare tessuto dove alcuni fili vengono legati in parti e tinti prima di essere riportati nella tessitura), stampati o ricamati, o il tessuto tie-dye dove una parte di tessuto viene resa impermeabile al colore, tramite una stretta legatura, così da ottenere sfumature differenti.
Questo tipo di saree viene indossato sia in circostanze particolari sia tutti i giorni. Vi sono anche saree realizzati in broccato che si indossano durante feste particolari e altri sari realizzati con tessuti e colori particolari che le donne indiane mettono specialmente durante la stagione dei monsoni. Ad oggi, per realizzare il sari si utilizzano anche fibre sintetiche come il poliestere o stoffe moderne come la georgette (un tessuto leggero e trasparente) e la charmeuse (un tipo di tessuto morbido e lucente).
Attualmente il sari è l’abito che viene indossato da almeno il 75% delle donne indiane. Il vestito sari indiano riveste un ruolo particolare e, oltre ad essere l’abito tradizionale femminile in India, è a pieno titolo l’espressione della femminilità delle bellissime donne che lo indossano.
Le modalità per indossare il sari sono davvero numerose c’è chi ne ha elencate addirittura ben ottanta. In genere, lo stile classico e più diffuso è quello che prevede di fissarlo alla vita avvolgendolo e lasciando sciolta una delle estremità della stoffa che andrà poi appoggiata alla spalla, così da tenere coperto l’ombelico. Ciò nonostante il sari indiano viene drappeggiato in stili differenti e, alcuni modelli, per poter essere indossati in modo armonico, hanno necessità di una specifica lunghezza o devono avere una particolare forma. Di norma il sari viene avvolto verso la sinistra ma in alcune regioni dell’India si usa orientarlo a destra.
Nonostante il saree abbia una datazione di molti secoli e rivesta il ruolo di abito tradizionale per le donne indiane, ha mantenuto in tutto questo tempo uno charme e un incanto davvero unici. Questo indumento che esprime la grazia seducente della donna che lo indossa, è adatto a tutte le età e può essere portato sia dalle più giovani che dalle donne più mature o anziane. Il suo fascino nel tempo non solo non è diminuito ma addirittura l’apprezzamento per questo abito così particolare è perfino aumentato, tanto è vero che oggi, dove il consumismo e la corsa del sviluppo tecnologico dilagano in modo inarrestabile, il sari indiano è tuttora molto gradito anche alla popolazione femminile più moderna del paese India.
Ogni aspetto dell’evoluzione di un capo così particolare come il sari indiano ha la sua origine in una storia lontana, ma ciononostante, malgrado le minime trasformazioni che ha subito nel tempo, mantiene la sua costante evoluzione grazie alla continua ricerca mirata a trovare sempre nuove modalità di espressione per le nuove generazioni delle donne indiane e non solo.
Ecco perché, a tutt’oggi, fra i vestiti indiani il sari resta sempre e comunque un capo di abbigliamento dal costo accessibile, comodo, che può essere indossato da tutte le donne, appropriato sia per il lavoro, come per le cerimonie o le ricorrenze più importanti o ancora per il tempo libero.
In India, nel corso dei secoli, ci sono state alcune città che si sono specializzate nella produzione di vari tipi di saree fino a diventare famose, come Chennai, Calcutta, Maheshwar, Varanasi e Bhubaneshwar. Ciascun centro di produzione è diventato famoso e riconoscibile per la creazione di saree di tipo tradizionale, i quali hanno ottenuto il loro nome, oltre che dalla città che ospita i laboratori, anche dalle varie tecniche per tessitura, stampa, colorazione e disegni impiegati per la loro tipica fabbricazione. Durante lo sviluppo della tessitura in India, nel corso dei secoli, il sari ha mantenuto l’usanza di essere tessuto sia su telai a mano, sia su quelli meccanici e ad oggi anche su apparecchiature ancora più moderne, in ognuna di queste famose grandi città che continuano a produrlo.
Ancora oggi le donne indiane proseguono con il loro legame affettivo nei confronti del sari e continuano a considerarlo l’abito tradizionale della loro cultura, acquistandolo in special modo per le cerimonie di nozze e per le feste più particolari anche se, in forma diversa lo indossano ogni giorno. Invitiamo tutte le nostre lettrici a sperimentare la magia di indossare questo stupendo abito indiano ma, ancora di più, ad assaporarne il fascino nello scegliere il proprio saree provandolo all’interno di uno dei magici negozi che incontreranno nel corso del loro viaggio in India, per dare vita a un momento che le riempirà di gioia ed emozione.
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