Brahma, il creatore dell’universo materiale

brahma

Brahma (o Brama) è la definizione sanscrita della ‘formulazione’ al maschile dell’attributo neutro Brahman. Identifica, nelle scritture relative alla spiritualità induista, la divinità preposta al concetto di emanazione/creazione dell’universo materiale. In questo articolo scopriremo tutte le sfaccettature e i significati attribuiti a Brahma, le sue rappresentazioni nella religiosità indiana ma anche le origini e l’evoluzione del suo culto e tutte le sue contraddizioni.

Brahma il fecondatore

Brahma dunque, assume la funzione che in antichità era stata attribuita a Prajapati. Nella religione induista Prajapati, che in sanscrito significa “signore delle creature”, è una divinità che governa la procreazione ed è considerato protettore della vita. A differenza di Prajapati, però, Brahma non è di fatto una divinità suprema. In realtà è un dio al servizio delle divinità ritenute superne.

Non va tuttavia collegato al concetto di Brahman Atman presente nelle Upanishad, il quale indica l’unità cosmica da cui tutto promana e da cui deriva anche Brahma che ne è un ‘principio agente’.

Nelle varie formule che lo definiscono, Brahma è identificato anche come Vedanatha (ovvero ‘Dio dei Veda’), Gyaneshwar (Dio della sapienza), Chaturmukha (‘quello dei quattro volti’), Svayambhu (‘colui che è auto-generato’), Brahmanarayana (‘per metà Brahma e per metà Vishnu’). Sposo della dea Sarasvati, è padre dei quattro Kumara (Sanaka, Sanatana, Sanandana e Sanat-Kumara) e di Daksha (nato dall’unione di Brahma e Aditi, definito ‘dio del Sole’ e demiurgo).

Una delle immagini classiche con le quali Brahma viene rappresentato è quella in cui compare con quattro volti (Chaturmukha o catur-anana) attraverso i quali governa l’intero cosmo e che raffigurano la conoscenza del tutto. A ciascun volto è attribuita la recitazione di uno dei Veda: il volto ad est recita il Rigveda, quello ad ovest il Samaveda, quello a nord l’Atharvaveda, quello a sud lo Yajurveda.

Visivamente è spesso raffigurato a cavallo di Hamsa, la saggia oca capace di distinguere il latte dall’acqua. In questa postura viene ritratto mentre tiene in mano un recipiente (il kamandalu) che contiene le acque del sacro fiume Gange, ad indicare che l’origine dell’intero cosmo deriva dalle acque.

Una nota interessante da ricordare in merito alle rappresentazioni iconografiche nell’induismo, è che tutte le divinità sono collegate ad un animale ‘simbolo’, anch’esso ugualmente di natura divina, che ne incarna e riverbera la qualità primaria. Tali animali sono denominati vahana, ovvero ‘veicolo’ o ‘animale che può essere cavalcato’, dal momento che in diverse raffigurazioni gli dei compaiono sulla groppa dell’animale stesso. L’animale ‘simbolo’ e ‘veicolo’ di Brahma è il cigno poiché egli è il dio delle acque, le quali sono associate alla coscienza e all’atto di purificazione della mente che tramite questa azione può illuminare per merito della consapevolezza superiore e alla saggezza.

Il cigno rappresenta pienamente la qualità primaria di Brahma in quanto è veloce e scattante in acqua e, al tempo stesso, capace di scorgere e dividere le impurità presenti in essa, attributo questo già associato all’immagine dell’oca descritta in precedenza, presente in alcune altre diverse raffigurazioni, come pure il pavone.

In molte rappresentazioni Brahma compare con le sue quattro braccia ed ha in una mano un rosario (mala), realizzato con i semi presenti nel frutto dell’albero di rudraksham, le cui perle raccolte indicano il tempo, per ricordare che ogni vita scesa nell’universo della materia ha una sua durata. In un’altra mano tiene un altro oggetto denso di significato che compare in molte rappresentazioni iconografiche di Brahma: un tamburo con la forma di clessidra (damaru), simbolo dello scorrere continuo e cadenzato del tempo nel flusso della vita e ancora, in un’altra mano, tiene i Veda mentre nell’ultima regge un fiore di loto. Spesso è raffigurato vestito di bianco, rosso o rosa e con la barba, simbolo di veneranda età e saggezza.

Le origini del termine Brahma

Le origini del termine Brahma sono incerte, in parte perché diverse parole correlate si trovano nella letteratura vedica, come Brahman inteso come “Realtà Ultima” e brahmaa inteso come “sacerdote”. Dobbiamo in ogni caso sottolineare nuovamente la distinzione tra il concetto spirituale di brahman e la divinità Brahma ovvero che, il primo termine, nell’induismo richiama un concetto metafisico astratto senza genere mentre, mentre il secondo, è una delle tante divinità maschili nella tradizione indù.

Il culto di Brahma

Nonostante la tradizione vedica parli molto di Brahma, ad oggi il dio non è molto venerato. La cosmogonia indù ci dà diverse spiegazioni a questo proposito. Una delle motivazioni più ricorrenti narra che Brahma si fosse perdutamente innamorato della bellissima Shatarupa, la donna da lui stesso plasmata così che lo supportasse nella creazione. Ne era così infatuato che il suo sguardo era fisso su di lei al punto che la donna, timida e riservata, ne era intimorita. Brahma, nell’intento di osservarla con insistenza, duplicò la sua testa fino ad averne addirittura quattro.

La povera Shatarupa, disperata e pressata da tanta ossessione, provò a saltellare per sfuggire allo sguardo tenace del dio. Fu in quel momento che Brahma, per non farsela sfuggire, diede vita ad una quinta testa.

Shiva, sdegnato dall’atteggiamento di Brahma, con un colpo netto tagliò quest’ultima testa, lanciandogli una maledizione. Dal momento che Brahma aveva ceduto alla tentazione del desiderio carnale, allontanando la sua mente dall’anima, i fedeli non lo avrebbero adorato. Brahma, pentito per le sue gesta, cominciò a recitare così i quattro Veda.

Un’altra motivazione riportata sul motivo del mancato culto dedicato a Brahma fa riferimento al fatto che la divinità non viene adorata in quanto, essendo la sua funzione quella di essere il creatore dell’universo, in quanto tale il suo ruolo si sarebbe esaurito. Il dio Vishnu, al contrario, prosegue la funzione di custodirlo e proteggerlo, mentre Shiva assolve al suo compito di distruttore per garantire il ciclo cosmico della reincarnazione.

Poiché Brahma è il dio deputato alla creazione dell’universo materiale, dimensione da cui ogni essere vivente dovrebbe riuscire a liberarsi, non gli viene assegnato nessun tipo di culto. Nonostante ciò Brahma è di frequente raffigurato con immagini di tipo liturgico e può essere menzionato durante lo svolgimento dei rituali di tipo religioso.

La mancanza dell’attribuzione di una precisa forma di culto per Brahma viene giustificata e spiegata all’interno dello Skanda Purana, il più vasto tra i diciotto Purāa principali, testo dedicato principalmente alla vita e alle opere di Karttikeya. Una ulteriore motivazione per cui a Brahma non è stato assegnato un culto dedicato, sempre secondo la tradizione, è il fatto che il dio avrebbe mentito nel dichiarare di essere riuscito a raggiungere la vetta del linga ‘luminoso’, ossia l’aver raggiunto l’asse del mondo, l’assoluto, privo di inizio o fine, il concetto di Brahman.

L’essenza del mito di Brahma

Secondo la spiritualità induista, la narrazione attinente alla nascita dell’universo, nonostante abbia radici di tipo vedico, è stata ben spiegata tramite la letteratura presente nella Smriti (un insieme di testi sacri autorevoli per la religione induista), specialmente in quella di tipo puranico.

In base agli insegnamenti della dottrina indù, l’intero universo è una realtà di tipo materiale che è soggetta a svanire o, più nello specifico, a scivolare in un intervallo di incubazione, di mancata manifestazione (definito avyakta) dal quale riaffiorerà con un nuovo irraggiamento (definito sarga).

Questa ‘danza oscillatoria’ della creazione è senza tempo, avviene da sempre e per sempre si rinnoverà. L’artefice di questo ciclo perenne, colui che ne determina l’origine, viene definito Bhagavat (ovvero ‘colui che è divino, che è degno di essere adorato, l’essere superno e inimmaginabile’), oppure viene chiamato anche con il termine Svayambhu (‘che esiste da se stesso’) e realizza questa interminabile cadenza al solo scopo di perpetuarne il gioco (lila).

Il ciclo di propagazione della creazione, avviene tramite lo sgorgare delle acque dove il Bhagavat ha immesso il proprio sperma al fine di generare l’uovo o embrione d’oro, chiamato hiranyagharbhah.

Dunque, colui che è definito il ‘non generato’ (il Bhagavat) all’interno dell’uovo cosmico d’oro prende la forma di Brahma. Sempre secondo la tradizione Brahma resta nell’uovo d’oro per un secolo per poi romperlo ed uscirne creando nella parte superiore dell’uovo stesso il mondo celeste, nella parte più bassa la terra e nello spazio tra i due l’etere. L’universo tutto corrisponde all’uovo di Brahma.

Nel creare l’universo Brahma dà origine ai deva, ai pianeti, alle stelle, al tempo, alle montagne, agli oceani, ai fiumi ma anche ai concetti astratti come la parola (vac), l’elevazione (tapas), i desideri (kama) e il concetto legato agli ‘opposti’. Inoltre dà vita all’umanità suddividendola nelle quattro fasce corrispondenti ai Varna (i ruoli della società divisa gerarchicamente).

Vi è una radice tradizionale della cultura indù, la quale afferma che queste quattro fasce sociali, dalle quali sarebbero poi derivate le caste, abbiano preso origine dalle varie parti del corpo di Brahma. Nello specifico, si narra che dalla sua testa siano derivati i Brahmini (gli addetti ai sacrifici, i sacerdoti e i saggi che conoscono i testi sacri), dalle braccia siano stati originati i Kshatria (ovvero i principi e i guerrieri), dagli arti inferiori sarebbero nati i Vaisia (i contadini, gli artigiani e i commercianti) e dai piedi i servi, ovvero gli Shudra.

I templi dedicati al culto di Brahma

Non sono molti i templi dedicati al culto del dio Brahma in India. Tra i più noti vi è quello di Pushkar, nei pressi di Ajmer nella regione del Rajasthan costruito probabilmente almeno duemila anni fa e il tempio di Khedbrahma, edificato nei pressi di Idar nella regione del Gujarat e datato intorno al dodicesimo secolo.

La leggenda narra che il tempio di Pushkar sorse a causa di uno scontro tra Brahma e il demone Vajra Nabh. Pare che Brahma riuscì ad uccidere il demone grazie ad un fiore di loto da cui caddero tre petali che diedero origine ai tre laghi di Pushkar. Una diversa narrazione afferma invece che i laghi di Pushkar, luogo dove ancora oggi il dio è onorato con una liturgia annuale, sarebbero nati dalle lacrime di Brahma.

Il ciclo ‘eterno’ del cosmo

Il ciclo dell’esistenza del dio Brahma è considerato lunghissimo ma assolutamente non è eterno. La sua fine, la sua morte, è collegata al concetto della ‘grande dissoluzione’ dell’intero universo.

La cosmologia indù vede Brahma rinascere dal puro fiore di loto che erompe dall’ombelico di Vishnu, mentre quest’ultimo si trova nel sonno mistico dello yogi. Tale atto dà poi vita ad un nuovo ciclo, dove ogni cosa rinasce e si dipana un nuovo inizio.

In questo susseguirsi ritmico di cicli cosmici, l’obiettivo dell’uomo rimane quello di superare la materialità e ricongiungersi con la fonte divina da cui è stata generata la sua parte spirituale più profonda, anche attraverso discipline come la meditazione e lo yoga.

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