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La città di Pindaya è una piccola realtà rurale che si trova sulle montagne del Myanmar (ex Birmania), nella parte centrale del Paese. È collocata a circa 45 chilometri da Kalaw, un altro piccolo borgo della regione di Shan. Pindaya è conosciuta, oltre che per le sue stupende grotte di calcare, anche per i templi, le pagode e il villaggio di Danu popolato da una piccola comunità di etnia birmana che vive nelle colline vicine.
La regione in cui sorge Pindaya, poco distante dal lago Inle, è caratterizzata da una marcata impostazione agricola, anche grazie al terreno molto fertile. La campagna è costellata da diverse colture tra le quali estese piantagioni di ginger che prendono un bel colore giallo quando si avvicina il momento della raccolta.
Ci sono, inoltre, grandi terreni coltivati a cavoli che, in prossimità della raccolta, vengono sistemati in enormi carri per essere trasportati nei grandi mercati dove si smistano gli ortaggi. In questa parte del Paese, poi, si coltiva un tipo di zucchina, molto gradita in Birmania e cucinata in vari modi, che viene cresciuta facendola scorrere in alto, su una griglia di pergolati.
I mercati generali sparsi nei villaggi limitrofi sono molto trafficati. In questi punti di smistamento confluiscono tutti i prodotti che provengono in linea diretta dalla campagna. Qui gli ortaggi sono scelti, poi confezionati e distribuiti in tutto il Myanmar. Patate, pomodori, zucche e radici di ginger, sono suddivisi a seconda del diametro e in seguito confezionati per la distribuzione. I contadini della zona fanno sacrifici incredibili. Pensate che un sacco di patate o di cipolle, può anche raggiungere il peso di 80 chilogrammi; immaginate cosa possa voler dire caricarsi sulle spalle un peso del genere.
Un’altra caratteristica di Pindaya è una forma particolare di artigianato: la realizzazione di ombrelli di carta creati con prodotti che si trovano in natura. Per esempio, il rivestimento dell’ombrello, è creato lavorando la corteccia di una pianta il cui nome latino è Broussonetia papyrifera, conosciuta come ‘gelso da carta’. Una volta lavorata a fondo la corteccia, si ottiene una sorta di pasta che poi viene stesa su un telaio ammorbidendola con dell’acqua. Una volta asciugata, la pasta diventa simile ad un foglio che sarà utilizzato per realizzare la copertura dell’ombrello.
A questo punto l’artigiano crea, con barre di bambù e grazie all’utilizzo di un tornio a pedale, le stecche che sosterranno il rivestimento dell’ombrello in carta. Una volta completato questo passaggio, sarà la volta del manico e del meccanismo di blocco del parasole che saranno realizzati in pochi minuti con l’aiuto di un coltello appuntito.
Fissati i raggi, l’artigiano vi posiziona sopra il rivestimento di carta di gelso attaccandola con colla di riso. La parte finale della lavorazione prevede la stesura di colori prodotti anche questi in modo naturale, tra i quali il rosso che ha anche la funzione di impermeabilizzazione alla pioggia.
Ma Pindaya non è solo agricoltura o artigianato. In questa città si respirano le tradizioni e la cultura millenaria del Myanmar.
La tradizione narra che le sette figlie del Re Deva di Ngwetaung, andarono a nuotare nel lago di Nagadeikhten ma, non accorgendosi del passare del tempo, il buio le sorprese. Così le sette principesse si rifugiarono in una grotta della montagna, senza sapere che proprio lì viveva un enorme ragno crudele che le imprigionò sbarrando l’ingresso della caverna con una fitta ragnatela. Passata la notte, un principe sentì le urla delle principesse che chiedevano aiuto ma, quando arrivò vicino alla grotta, capì che non sarebbe riuscito a togliere la ragnatela in poco tempo. Così decise di affrontare il ragno, armato del suo arco e delle sue frecce. La lotta fu dura ma il principe riuscì ad uccidere il ragno e a distruggere la tela, liberando le sette principesse. Il lieto fine fu che sposò la più bella delle sette sorelle. Questa leggenda influì anche sul nome della città. Infatti Pindaya ha la sua radice nella parola Pinkuya la cui traduzione significa ‘vittoria sul ragno’.
A memoria di questa leggenda, una statua gigantesca che raffigura un ragno insieme ad una raffigurazione del principe che scocca la freccia che lo ucciderà, sono entrambe collocate proprio all’ingresso della pagoda, e rappresentano sicuramente una delle cose da vedere a Pindaya, insieme a quelle che stiamo per descrivervi.
Come scoprirete presto nel vostro viaggio a Pindaya, stiamo parlando di una città ricca di storia, di arte e di spiritualità. È possibile visitare vari templi, oltre alle bellissime grotte famose per le numerose statue del Buddha. Scopriamo quindi insieme cosa vedere a Pindaya.
Lo splendido tempio di Hsin Khaung Taung Kyaung si trova lungo la strada che scende dalle grotte di Pindaya sul sentiero sterrato che conduce fino al lago Pone Taloke. Si tratta di una costruzione vecchia di 200 anni, realizzata in legno di teak nel tradizionale stile Shan. All’interno del tempio, è possibile vedere un’immagine del Buddha in bronzo e bambù.
Passeggiando sul lato nord del lago Pone Taloke, si può vedere il tempio Kan Tu Kyang, una struttura molto interessante da visitare durante il vostro viaggio a Pindaya. Il tempio presenta alcuni stupa totalmente restaurati e un kyaung (monastero buddista birmano) in teak, noto per una vasta collezione di antiche immagini di Buddha su plinti decorati.
Adagiato nei pressi della grotta Shwe Oo Min, il già menzionato lago Pone Taloke è molto vicino a Pindaya. Si tratta di un luogo ideale per chi desidera ritagliarsi una pausa dalla vita frenetica della città. La bellissima superficie del lago fa da stupenda cornice alla suggestiva spiritualità del luogo.
Le famose grotte di Pindaya sono disposte sul crinale di una enorme dorsale calcarea che parte da nord e si spinge fino a sud proprio verso Pindaya, nel sud della Regione di Shan. Quest’area ha la struttura di una grande valle, incorniciata all’interno dei monti ad un’altezza di circa 1200 metri. Per questo motivo le temperature sono quasi sempre dolci e fresche. Durante il periodo invernale, tra novembre e dicembre, arrivano a qualche grado sopra lo zero. Il complesso delle grotte è formato da tre elementi molto grandi, di cui è accessibile soltanto la grotta posta a sud.
Questa grotta, il cui interno è stato opportunamente illuminato, ha una lunghezza di circa duecento metri, è divisa in tanti cunicoli e vi si accede con facilità grazie ad un ascensore collocato all’esterno.
Fu nella seconda metà del diciottesimo secolo che la grotta si trasformò in meta di pellegrinaggio per i fedeli buddisti, quando parallelamente prese vita anche l’usanza di donare statue raffiguranti il Buddha da collocare all’interno della grotta.
Questa tradizione si è talmente radicata che continua ancora oggi al punto che le statue stanno aumentando ed hanno raggiunto quasi le diecimila unità. Le statue sono tutte in materiali diversi ed hanno un fascino particolare, anche grazie all’illuminazione della grotta che crea un’atmosfera suggestiva. Ultimamente a questa collezione si sono aggiunte ben 32 statue del Buddha realizzate in ceramica di colore bianco, omaggio di un fedele di origine cinese. Un particolare molto interessante, di queste statue è che ognuna ritrae il Buddha con le mani nella posizione di una delle ‘mudra’, le posizioni delle mani dotate ognuna di un significato specifico dal punto di vista religioso ed energetico.
Tra le varie statue ve ne sono alcune destinate al Buddismo Mahayana, che testimoniano i possibili influssi della scuola filosofica di Bhisakkaguru. L’enorme statua del ragno nero, protagonista della leggenda che abbiamo già avuto occasione di narrare è posta proprio all’ingresso principale di questa grotta.
Oltre alla leggenda del ragno, esiste anche un altro mito su Pindaya: si dice che esista un passaggio segreto, ad oggi bloccato, che collegherebbe le grotte con Bagan, la vecchia città che una volta era capitale dello Stato Birmano e che si trova a più di duecento chilometri da Pindaya.
Visitare queste grotte corrisponde a fare un viaggio interiore. Per il pensiero orientale, la salita verso un luogo spirituale, meta di pellegrinaggio, deve necessariamente essere faticosa e lunga poiché aiuta lo spirito a disfarsi delle passioni lasciandole scivolare verso il basso della valle in modo da prepararsi all’incontro con il divino.
Anche se all’esterno è stato realizzato l’ascensore, come spiegavamo poco sopra, esiste ancora la scala di 200 scalini, coperta da una tettoia che si snoda seguendo il percorso, destinata a quei coraggiosi che, nel loro viaggio a Pindaya e la visita alle sue grottte, desiderano rispettare la tradizione e salire scalzi verso l’ingresso principale.
L’ingresso è collocato in una fenditura sul lato della montagna, modificata per fare la funzione di anticamera per il tempio: alle pareti vi sono specchi, luci colorate e piastrelle dai colori accesi. Non appena si varca la soglia il quadro si trasforma completamente. Dentro la montagna le grotte sono immense ed hanno soffitti molto alti. È in quel momento, di fronte ad una miriade di statue del Buddha donate da tanti fedeli, che si comprende la sacralità del luogo e si viene avvolti da un’atmosfera di spiritualità coinvolgente.
Le statue sono doni che provengono da tutto il mondo, come testimoniano le diciture scritte che, a volte, indicano sia il paese che la città di provenienza. L’illuminazione contribuisce a rendere la grotta ancora più suggestiva.
Volgendo lo sguardo si notano per ogni dove stupa e statue, disposti in un ordine che sembra casuale. Le statue sono di pietra, marmo, giada, cemento, alabastro, ceramica, tek e molti altri materiali.
Tra quelle più antiche ve ne sono di dorate e risalgono ad alcuni secoli orsono, alcune sono enormi e altre piccolissime, disseminate in un dedalo di passaggi, su minuscoli scalini e gallerie, dove entrare per ammirarne la bellezza. Ogni scultura raffigura il Buddha in piedi o seduto, in posizione meditativa, con gli occhi appena socchiusi, i lobi allungati e i capelli raccolti sui quali c’è l’emblema dell’illuminazione.
Il buddista che si reca in pellegrinaggio, per esprimere la propria devozione solitamente dona una statua per contribuire ad ampliare sia l’arte che la spiritualità del luogo. Tutti i presenti, che siano turisti, monaci o persone comuni del luogo, camminano lungo i percorsi a piedi scalzi sul selciato umido, sostando in meditazione in qualche punto suggestivo o pregando di fronte ad una delle statue.
All’interno della grotta si trova anche una nicchia nella quale è possibile raccogliersi in meditazione, alla quale si accede tramite un passaggio molto stretto. I pellegrini poi sono soliti esprimere la loro devozione al Buddha, fissando delle lamine d’oro ad una delle statue che hanno scelto per pregare. Le lamine d’oro sono incollate alla statua grazie all’utilizzo della lamella in carta di bambù unita alla lamina stessa e che svolge una sorta di funzione adesiva.
All’ingresso della grotta che contiene le statue del Buddha, è situata la Shwe Oo Min Pagoda – Shwe U Min Paya, ovvero la “La Pagoda della Grotta d’Oro”. La leggenda narra che la pagoda fu creata dai monaci buddisti mandati lì dall’Imperatore Ashoka, il Re dell’Impero Maurya che a quel tempo aveva come capitale Pataliputra, l’attuale Patna della Regione del Bihar nell’India nord orientale. All’epoca l’Impero Murya includeva parte dell’India, l’attuale Afghanistan, parte dell’Iran e il Bengala.
L’Imperatore Ashoka è famoso per aver abbracciato il buddismo e per averne facilitato l’espansione. Proprio per essere certo che i monaci annunciassero il corretto Dharma, l’Imperatore avviò a Pataliputra, il Terzo Concilio Buddhista.
E fu il Concilio che unificò le sacre scritture buddiste (con riferimento al Canone Pali), eliminando tutte le varianti valutate come non conformi agli insegnamenti del Buddha. Così i monaci che avevano l’incarico di proclamare quanto stabilito dal Concilio si recarono nelle regioni vicine per portare gli insegnamenti ricevuti tramite gli ‘Editti di Ashoka’, 33 scritti che parlano dell’espansione del Buddhismo in Asia.
La pagoda si trova sopra un rilievo raggiungibile tramite una gradinata coperta e, per l’ultimo tratto, grazie ad un ascensore. Al suo ingresso si trova una grandissima campana realizzata in bronzo datata 1842.
Una volta completato questo stupendo percorso, intriso di suggestioni che arrivano al profondo del cuore, usciamo all’esterno e troviamo un panorama mozzafiato che possiamo ammirare gustando dell’ottima frutta che si trova in vendita sui banchi adiacenti l’entrata.
Pindaya si trova, come abbiamo accennato all’inizio, a circa 1200 metri di altezza e si caratterizza per la presenza di un clima dolce, caldo e temperato. In estate piove di frequente mentre, al contrario, in inverno piove pochissimo.
La stagione autunnale risulta quindi essere la migliore per visitare questo luogo perché la natura è nel suo stato migliore per accogliere chi decide di visitare Pindaya. Da ottobre a febbraio, infatti, il cielo vede poche nuvole, piove poco e la temperatura non raggiunge valori rigidi.
Noi di Conscious Journeys, con l’intento di far conoscere profondamente il territorio nel quale sorge Pindaya, abbiamo realizzato dei percorsi mirati ad offrire l’opportunità al viaggiatore di calarsi intimamente nello spirito di questi luoghi così particolari.
La vegetazione in questo piccolo paradiso è rigogliosa e, nei mesi autunnali, periodo adatto anche per svolgere attività di esplorazione del territorio, è possibile fare percorsi di trekking.
Le pietre calcaree di Pindaya e i panorami splendidi che offre ne fanno uno dei migliori percorsi di trekking in Myanmar, dal momento che offre uno straordinario scenario fuori dai sentieri battuti per esplorare le bellezze naturali della regione e visitare alcuni villaggi locali in cui ammirare la semplice vita quotidiana della popolazione, incontrare alcune minoranze e conoscere le loro usanze e tradizioni uniche.
Oltre a godere del paesaggio, della natura e degli splendidi templi birmani, avrete anche la possibilità di conoscere villaggi e tribù e dare così il vostro supporto all’economia locale acquistando le loro creazioni artigianali o facendo una donazione alle loro scuole.
Pindaya è certamente una delle destinazioni più suggestive del Myanmar, uno dei paesi dell’Asia tra i più preservati. Il percorso che noi di Conscious Journeys proponiamo per scoprire il meglio del Myanmar è tarato su un ritmo rilassato in modo da permettere al viaggiatore di godere appieno delle atmosfere che questa terra incantata offre, dandogli la possibilità di scoprire particolari che la fretta farebbe sfuggire. L’intento è quello di aiutare il turista a entrare in empatia con il Paese e la sua popolazione, portando con sé esperienza profonda e ricchezza interiore.
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