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I Veda (dal sanscrito vedico Vedá) sono delle raccolte in lingua sanscrita degli scritti sacri custoditi dall’antico popolo degli Arii i quali, nel Ventesimo Secolo a. C. occuparono l’India del Nord.
Si tratta di un compendio di testi che sono parte integrante degli insegnamenti religiosi dei popoli indiani. Nel corso del tempo, e fino ai giorni nostri, sono diventati elementi di assoluta e fondamentale importanza all’interno del caleidoscopico gruppo di principi e tradizioni religiose che sono riuniti in un unico corpo definito ‘Induismo’.
La parola “Veda”, che indica l’antica “sapienza” e la “conoscenza” del sacro, nasce dalla radice vid termine di origine indo-ariana che si può tradurre, appunto, letteralmente con il verbo ‘conoscere’. Tale vocabolo proviene anche dalla voce weid, di radice indo-europea che significa ‘sapere/vedere’, oppure dalla radice greca woida e dal latino videre, termini che esprimono concetti affini già presenti in diverse culture. Gli artefici dei Veda, secondo la tradizione, sono i rishi ovvero dei veggenti che, impiegando le proprie percezioni e illuminazioni supportate dall’assunzione del soma, la bevanda sacra, hanno la capacità di ottenere un livello di ispirazione tale da essere spinti a condividere la loro conoscenza con l’umanità. Tali principi, non essendo nati da mente umana ma giunti tramite l’ascolto (cioè ‘uditi’), prendono il nome di Shruti, ovvero “ciò che è stato udito”. In base alla tradizione fino ad ora tramandata, pare che l’autore dei Veda sia il Rishi Krishna Dwaipayana, meglio noto come Veda Vyasa, il quale commissionò poi a quattro dei suoi discepoli più fidati l’elaborazione finale dell’opera.
Per alcuni studiosi i Veda sono testi tra i più antichi finora conosciuti, di cui la parte più importante, quella che ne esprime l’essenza, può risalire addirittura al periodo conclusivo dell’Età del Bronzo nonostante vi siano alcune parti presumibilmente datate in un periodo più recente (intorno al 500 a.C.). In ogni caso sappiamo che la sezione relativa alla tradizione orale dei Veda è sicuramente attribuibile ad un periodo molto antecedente.
In base alla ricostruzione storica, la cultura e letteratura vedica sono state introdotte nella parte Nord-Occidentale dell’India (all’epoca chiamata “Saptasindhu” cioè “Terra dei sette fiumi”), intorno al 2200 a. C. dalla popolazione degli Arii che proveniva dalla regione di Balkh (l’attuale Afghanistan del Nord) e migrata in quei territori.
Un gruppo distinto degli Arii, che prese il nome di Iranici, ugualmente originari dalla stessa regione, occupò invece la zona che oggi corrisponde all’Iran, gettando le fondamenta di una nuova corrente religiosa la quale nel tempo confluì parzialmente nell’Avestā (il nome sotto il quale si colloca l’insieme dei libri sacri appartenenti alla religione mazdea, ovvero lo “zoroastrismo”). Pertanto fu proprio nella parte Nord dell’Afghanistan che i Veda assunsero la sembianza strutturata con connotazioni di tipo religioso e linguistico.
Il cardine centrale della fede religiosa Arii è lo Rta, cioè la cosiddetta “Legge Cosmica” controllata dal guardiano Asura Varuna. Le principali caratteristiche delle credenze spirituali Arii hanno come riferimento il rituale del sacrificio racchiuso nella sacra bevanda, il Soma, e il rituale del fuoco. Quando gli Arii occuparono l’India del Nord, come naturale conseguenza di questa invasione, si verificarono aspri scontri con le comunità locali e la letteratura religiosa si arricchì di una figura eroica di grande spessore, il dio guerriero Indra.
In seguito, grazie alla contaminazione tra la cultura degli invasori e le tradizioni delle popolazioni autoctone che si basavano principalmente su pratiche sciamaniche e un radicato utilizzo dei mantra (formule magico-esoteriche), l’insieme della cultura spirituale e religiosa del popolo Arii si consolidò e si espanse sull’intero continente indiano con quella connotazione che poi verrà sempre più strutturata nel tempo dai “cantori” ufficiali (i devanāgari) relativi ai primi due Veda ovvero il famoso Rigveda e diverse parti dell’Atharvaveda, che risalgono al periodo tra il 2000 e il 1700 a.C.
L’insieme dei Veda si compone delle seguenti parti:
Quella che abbiamo appena esposto è la suddivisione canonica considerata valida a livello generale da parte degli studiosi in materia letteraria di tipo religioso per questa spiritualità. Molto più semplicemente, con il nome di Vedà sono classificati soltanto i quattro tipi di Samhitā, mentre per quanto riguarda l’ottica tradizionale, soltanto i primi quattro gruppi (Samhitā, Brāhmana, Āranyaka e Upanişad) vengono classificati come ‘apauruşeya” cioè non redatti dall’uomo e pertanto facenti parte della Śruti.
L’attribuzione di una data certa per i Veda è un aspetto molto discusso e controverso. La monumentale opera “Enciclopedia delle Religioni”, creata con un programma organizzato da Mircea Eliade e portato avanti con il contributo di moltissimi studiosi internazionali, nelle pubblicazioni del 1998 e del 2005 cita, in una specifica voce gestita dallo storico Ramchandra Narayan Dandekar, un’era compresa tra il 2000 a. C. e il 1100 a.C. Lo storico delle religioni Mario Piantelli colloca la datazione dei Veda in concomitanza dell’ingresso delle popolazioni degli Indoari nel continente indiano, intorno al sedicesimo secolo a.C. Vi fu poi una nuova ipotesi, comparsa successivamente dopo il 1980, sulla possibile origine locale della popolazione Arii (tenendo come punto fermo la datazione del 1000 a.C. come cronologia relativa al termine della composizione dei contenuti relativi al Rig Veda) che lascia la questione aperta in merito alla datazione iniziale.
L’ipotesi, proprio in merito alla datazione, vede come possibile origine un periodo più antico del 1500 a.C., collocandola intorno al 3000/4000 o perfino 7500 a. C. In quanto a posizione cronologica, il Veda più datato è chiaramente il Rgveda al quale seguono in ordine il Sāmaveda, l’Yajurveda e l’Atharvaveda.
In generale nei testi di questo tipo di letteratura a carattere religioso, gli indoari sono descritti come popolazione nomade e guerriera in aperto contrasto con le comunità autoctone, discendenti dirette dell’antica civiltà della Valle dell’Indo. Gli scritti vedici rappresentano gli abitanti delle comunità locali con la con pelle scura, ovvero coloro che oggi sono riconosciuti come etnia dravidica. Gli indoari si consideravano ārya, ovvero “nobili”, attribuendo la definizione dāsa (o dasyu), traducibile come “schiavo”, agli abitanti locali con cui avevano interagito durante la loro politica di espansione. La considerazione degli indoari verso i dāsa era piuttosto lapidaria poiché affermavano che costoro non adoravano nessun tipo di divinità, né vivevano una dimensione religioso/spirituale ma, nello specifico, adoravano il lingam (un fallo eretto che prendeva il nome del dio-coda Siśnadeva). Alcuni ritrovamenti di reperti a forma fallica nella valle dell’Indo ci portano a considerare come esatta la spiegazione vedica di questa ritualità, che tra l’altro risulta essere un’anticipazione del culto dedicato al lingam nella corrente dello Śivaismo.
Occupiamoci adesso dei quattro gruppi principali di raccolta degli scritti sacri, o Samhitā.
Tra tutti gli scritti il più antico dei Veda è il Rgveda, l’opera più remota della cultura indoeuropea. Nelle sue sezioni più datate (che compaiono nei libri dal secondo al settimo inclusi), viene fatto risalire al periodo tra il ventesimo e il quindicesimo secolo a.C.
Il Rgveda è composto da un insieme di 1.028 salmi chiamati sùkta (che significa “ben detto”), costituiti da ben 10.462 gruppi di versi a carattere metrico chiamati mantra (o semplicemente rks, che significa “invocazione, versetto”), distribuiti in dieci volumi denominati mandala (traducibile con “cicli”) di varia lunghezza, configurazione e data che, nella loro totalità, sono formati da ben 153.836 parole.
Le narrazioni contenute in questi dieci volumi riguardano i fenomeni naturali suddivisi in quattro sezioni:
Questo Veda contiene note relative alle componenti dei culti sacrificali specifici della cultura degli Arii, con una particolare nota in merito alle entità divine di Agni, Rta-Varuna e Soma nel primo periodo del loro ingresso in territorio indiano nell’area nord-occidentale, che vedono integrazioni successive dedicate all’enfatizzazione delle entità divine guerriere come nel caso di Indra, identificato anche come il dio del fulmine. Sia Indra, dunque, che Varuna e Vishnu erano divinità descritte come strettamente collegate agli elementi costitutivi della natura.
I filosofi del RigVeda affermano che tutti gli eventi naturali debbano essere ritenuti di origine divina e pertanto devono essere venerati e rispettati. Negli scritti sono poi citati altri tipi di spiriti, riconosciuti come facenti parte del mondo naturale come le “fate dei boschi” definite gandharva, e le “damigelle celesti”, dette apsara. Così, all’interno dei testi RgVeda si onora l’ordine cosmico poiché vi è la convinzione che ogni cosa sia retta da un insieme di leggi fondamentali che si rinnovano in cicli costanti. L’essere umano, dal canto suo, cerca di comprendere queste leggi ma, nella quasi totalità dei casi, i suoi sforzi nulla possono di fronte ai misteri della vita. I saggi e i mistici dei Veda si impegnano di fatto per portare la società il più vicino possibile al perfetto ordine del cosmo, per questo il concetto di collegamento tra microcosmo e macrocosmo è molto presente in questi scritti sacri.
Questo specifico componente facente parte delle Samhitā è basato sul Rgveda. Si tratta di un insieme di versetti (per un totale di 1.875 comprese le parti ripetute) che nella maggioranza (escluse 78), sono già presenti nel Rgveda (nello specifico nei libri quinto e nono). Il Sāmaveda dunque non è composto da inni o canti (sāmans) ma dai già citati mantra salmodiati dal sacerdote (udgātr) insieme ai suoi tre assistenti. La versione più conosciuta del Sāmaveda, quella della scuola Kauthuma diffusa nel Gujarāt, è composta di due tipi di raccolte:
Vi è poi una terza ripartizione di questo Veda riguardante il Mahānāmnyārcika, trasmesso in dieci mantra, che però viene spesso tralasciato nelle ultime edizioni.
In questo trattato sono raccolte le formule che riguardano la ritualità del sacrificio (yajus). Se il Sāmaveda riguarda il solo rito del “soma”, lo Yajurveda al contrario contiene e riepiloga tutto lo svolgimento del rituale vedico. In esso troviamo le formule rituali del sacrificio in qualche caso scritte in forma di lamentazioni declinate dal celebrante (adhvaryu). Ne esistono di due tipi: il Kṛṣṇa Yajurveda (detto “Yajurveda nero”) e Śukla Yajurveda (chiamato “Yajurveda bianco”). La loro costituzione è parzialmente sotto forma di versi a un’altra parte come prosa e rappresenta il documento più antico di prosa letteraria religiosa scritto in lingua sanscrita.
Questo trattato, denominato Atharvaveda ma conosciuto anche come Atharvāṅgirasaḥ o Brahmaveda, racchiude sia formule magiche sia altre legate alla medicina. Si tratta di un complesso di frasi magiche (brahman) di natura sia positiva, ovvero atharvan, sia negativa, ovvero aṅgirga, facenti parte della tradizione popolare. In principio non ebbe una grande autorevolezza ma, in seguito, fu introdotto nell’insieme del bagaglio letterario spirituale degli Arii e utilizzato come manuale di riferimento per i rituali dai brahmani.
Le diverse scuole religiose e filosofiche che seguono la tradizione dell’Induismo si sono poste nei confronti dei Veda tenendo in primissima analisi sia il significato della parola in sé e per sé, sia il carattere indicativo degli stessi Veda con la śruti. Proprio in merito quest’ultimo particolare dobbiamo necessariamente distinguere tra culture tradizionali di tipo ortodosso brahmanico favorevoli alla validità e autorevolezza dei Veda, ed altre che invece se ne discostano. Nelle Darśana (interpretazioni dei Veda), secondo la Mīmāmsā (riflessione profonda, esegesi) che ritiene la parola eterna, i Veda sono considerati al di fuori del tempo e increati in quanto aventi natura divina. Una corrente di tipo razionalista (Nyāya) ritiene invece che i Veda siano scaturiti da Dio.
Tutt’oggi esiste una marcata influenza sul quotidiano della popolazione induista proveniente dal Rig-Veda (nello specifico al passo 10, 90), dove si parla delle quattro caste: i bràmani (sacerdoti), i kshatriya (guerrieri e principi), i vaiçya (contadini, mercanti e artigiani) e i cùdra (servitori e manovali).
Le prime tre categorie riguardavano i conquistatori ariani che vessarono con imposizioni la popolazione pacifica della valle dell’Indo mentre l’ultima casta è quella in cui sono inclusi gli ultimi, i vinti considerati come non-ariani.
In seguito sarà poi introdotta anche una categoria di popolazione definita “fuori casta”, che racchiude la comunità delle persone che hanno rifiutato di sottomettersi. Maggiori approfondimenti sulle caratteristiche legate ai dettami e alla condotta delle varie caste verranno poi racchiuse in un testo successivo chiamato “Il Codice di Manu”, che tratta di diritto, di politica e di etica. Fin dal periodo vedico, infatti, era conosciuta l’affermazione che ogni individuo deve restare nel proprio ambito di appartenenza e adoperarsi per compiere le mansioni che gli sono state assegnate, così da assicurare il corretto andamento della società. Questa regola prevede che siano compiuti i cosiddetti doveri etici chiamati dharma.
Viene inoltre sostenuta l’importanza di amare e onorare il prossimo, di praticare la gentilezza e di rivolgersi all’altro con empatia. Un ruolo molto importante lo ha anche la gestione delle emozioni e il controllo sugli stati d’animo ma nessun riferimento viene fatto al concetto di ascesi poiché i Veda celebrano la vita, la gioia di fare esperienza della natura e della sua magnificenza. Nei contenuti dei testi non si fa alcun riferimento alla condizione dopo la morte. Di norma l’uomo viene considerato come immortale in base al suo comportamento positivo o negativo e, una volta morto, si troverà di conseguenza o nel regno di Vishnu o in quello di Yama.
In base alla tradizione furono i santi veggenti a generare i mantra come “Suono Divino”, arrivando a questa illuminazione grazie alle loro meditazioni profonde e alla costante ricerca dell’essenza divina. Possiamo considerare l’Aksara AUM come l’origine degli stessi Veda e del Creato. Ricordiamo inoltre che i Veda sono definiti anche col termine Sruti, termine che significa “nota musicale”. Ecco che i mantra sono specifici versi sviluppati in forma di preghiera strutturata in metrica, creati specificamente per essere recitati ad alta voce.
I Brahmana, come abbiamo accennato, sono dei testi realizzati in forma di prosa organizzati in due sezioni: la prima che definisce e spiega la ritualità dedicata ai sacrifici e la seconda che ne interpreta l’aspetto e il contenuto filosofico. I Brahmana, inoltre, raccolgono una serie di interpretazioni e miti legati ai vari canti di lode. Le procedure connesse ai sacrifici e alle offerte erano caratterizzate da rituali molto precisi, dettagliati ed erano in stretta correlazione con la conoscenza spirituale profonda dello stesso rituale. Questo tipo di comprensione era indispensabile per essere in grado di individuare con precisione la finalità del rito e raggiungere i benefici desiderati tramite il rituale del sacrificio.
Gli Aranyakas sono degli scritti dedicati ai mistici (Aranyas) che decidono di ritirarsi nelle foreste o negli eremi per consacrare la propria vita allo sviluppo della consapevolezza e al perseguimento della saggezza. Questi testi si concentrano più precisamente sull’aspetto filosofico dei rituali e dei sacrifici.
Le Upanishad sono testi di tipo commentario inseriti nei Veda con lo scopo di chiarire l’essenza profonda della realtà. Sono scritti a carattere mistico che trattano dell’entità divina e della correlazione che esiste tra l’anima e la parte materiale dell’esistenza, descrivendo la piena ricezione e utilizzo dei concetti filosofico-religiosi del pensiero vedico.
In questo compendio è ben espresso il concetto della libertà di pensiero così ben descritto nei più profondi salmi del RigVeda. Riguardano principalmente la costante ricerca delle risposte alle domande fondamentali della vita che e il desiderio che tende a ricercare l’elevazione verso le più sublimi verità che vengono espresse tramite punti di vista differenti.
Nel corso dei secoli, le Upanishad furono considerate come i reali Veda dei saggi indù e, col tempo, da esse nacquero le famose Darshana, le sei scuole fondamentali dell’induismo.
Sappiamo poi che l’apprendimento dei Veda, nel periodo tardo vedico, divenne obbligatorio dal punto di vista spirituale per tutti i componenti di sesso maschile relativi alle prime tre caste, mentre secondo altre fonti pare che originariamente tale regola fosse applicata anche alle donne.
Chi faceva parte dei Sudra, la quarta casta, non aveva la possibilità di partecipare a questi percorsi di studio. Per facilitare l’acquisizione a livello mnemonico furono creati dei metodi specifici atti a permettere la conservazione dei contenuti. Altri stadi legati allo sviluppo degli insegnamenti suppletivi come ad esempio i Vedanga e la letteratura di tipo esegetico, furono in seguito ampliati grazie alle scuole vediche.
Il Veda dunque, rappresenta tutto ciò che concerne la “verità superiore”, la “conoscenza del sacro”, il suo riconoscimento nel mondo materiale. L’uomo lo ha ricevuto, senza alcun tipo di ingerenza (apaurusheya), ed è da considerarsi eterno (anadi).
Prima di concludere vi lasciamo con una frase di Swami Vivekananda un mistico indiano nato verso la fine del 1800 il quale affermava:
“Il macrocosmo e il microcosmo sono costruiti esattamente sul medesimo progetto. Prendete tutta la responsabilità sulle vostre spalle e sappiate che voi soli siete i creatori del vostro destino. Tutta la forza e tutto l’aiuto di cui abbisognate sono dentro di voi. Perciò createvi voi stessi il vostro avvenire. Tutti i poteri dell’universo sono già dentro di voi. Siete voi che vi siete coperti gli occhi con le vostre mani. Vi lamentate che è buio. Siate consapevoli che intorno a voi non ci sono tenebre. Togliete le mani dai vostri occhi e apparirà la luce, che era lì da un’eternità.”
Per effettuare un viaggio nella spiritualità indiana vi consigliamo di aggregarvi al nostro viaggio di gruppo organizzato Il sacro Gange, che tappa dopo tappa percorre tutte le più importanti città che sorgono lungo le rive del fiume sacro e approfondisce i temi della sacralità e della spiritualità indiana.
Namastè.
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