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La gran parte dei fedeli buddisti utilizza i rituali per agevolare il raggiungimento dei propri obiettivi spirituali. La pratica delle devozioni risulta essere, quindi, un particolare molto importante nelle consuetudini collegate ai riti buddisti. Le cosiddette ‘pratiche devozionali’ infatti, hanno come intento primario, quello di favorire e supportare la devozione alla Triplice Gemma, aspetto che vedremo tra poco nel dettaglio.
La ‘devozione’ può essere considerata come una pratica fondamentale nel buddhismo e consiste nell’impegnarsi ad assolvere compiti di tipo spirituale che coinvolgono anche oggetti o persone. Questa pratica viene spesso tradotta in lingua Sanskrit o Pāli con termini come saddha, garava o Puja.
Il nucleo centrale della devozione buddista è l’esercizio del Buddhānussati, ovvero l’atto di ricordare le virtù ispirate dal Buddha. Nonostante il buddhānussati possa essere considerato come uno tra i più importanti aspetti della devozione già alle origini del buddismo, la sua rilevanza fu incrementata con l’avvento del buddismo Mahāyāna.
Nello specifico, tramite il cosiddetto ‘Buddismo della Terra Pura’, si sono evolute varie forme di devozione che aiutano il fedele a rammentare gli insegnamenti e a tendere alla connessione con il divino, in particolar modo con l’Amitābha (il Buddha celeste che possiede infiniti meriti). Il fedele buddista dunque, utilizza i rituali per cercare di raggiungere i propri obiettivi spirituali, e lo fa adottando i canonici ‘rituali buddisti’ comuni i quali prevedono di ottenere una benedizione, l’inchinarsi, attribuire meriti, l’adottare una retta risoluzione (o pensiero), il fare delle offerte, innalzare canti che recitano i testi della tradizione e realizzare pellegrinaggi. Esiste anche un tipo di pratica, che in diverse occasioni ha assunto un carattere spiccatamente politico, detta dell’autoimmolazione (di cui parleremo meglio più avanti), ma si tratta di un tipo di devozione poco frequente e presente solo in alcune comunità.
I riti buddisti legati alla devozione posso essere svolti sia in casa come presso un tempio. È ovviamente importante che nel luogo di devozione siano presenti immagini del Buddha, di Bodhisattva o la rappresentazione di discepoli illuminati, elementi sicuramente immancabili nei templi buddisti. Tali pratiche sono esercitate in modo più marcato durante i giorni dedicati all’uposatha (uno dei giorni di osservanza) e durante le feste che si svolgono nel corso dell’anno, le quali variano da regione a regione in base alla tradizione locale.
Lo studioso Sri Lanka Indumathie Karunaratna, esplicita la parola ‘devozione’, all’interno del buddismo, come ‘l’attitudine ad essere votati all’adempimento dei doveri religiosi o al formulare un impegno formale e solenne di dedicarsi ad una persona o ad un oggetto’.
In lingua pali, questi concetti sono espressi dai termini pema (affetto), saddhā (fede, credo), pasāda (chiara fiducia), bhatti (fede) e gārava (rispetto). La parola ‘pema’ viene in genere associata all’ammirazione che lo studente nutre dei confronti del suo maestro, la sua guida spirituale. La parola ‘saddhā’ esprime la profondità del proprio credere, nonostante possa essere equiparata al primo passo del proprio percorso di consapevolezza. Il termine ‘bhatti’, invece, sin dalle origini del buddismo è considerato come una “devota e sentita partecipazione alla spiritualità buddista”, parola che con il tempo acquisirà poi il significato di un ulteriore avanzamento nella pratica devozionale, come testimoniano anche i testi che sono stati scritti successivamente da altri studiosi. Il termine ‘pūjā’, infine, viene utilizzato anche per indicare ‘onore, impegno devozionale, venerazione’, infatti la sua radice etimologica vedica pūj significa ‘onorare, adorare’.
La devozione nel buddismo si manifesta tramite le cosiddette ‘tre porte dell’azione’ ovvero il corpo, la parola e la mente e, tale osservanza, considerata come una forma di dono, porta evidenti benefici sia a chi la pratica, sia a chi la riceve.
Nella tradizione buddista, la ‘Triplice Gemma’, ovvero il Buddha, i suoi insegnamenti (Dharma) e la sua collettività (Samgha) vengono uniformemente venerati. Ciò peraltro non significa che le varie divinità non ricoprano un ruolo importante all’interno della tradizione; in realtà sono spesso collocate in posizione subordinata rispetto al Buddha che si trova alla sommità della scala gerarchica a livello spirituale.
Ai giorni nostri, purtroppo, dobbiamo registrare una sorta di livellamento standard dei giorni destinati all’osservanza dei rituali buddisti. Le cadenze originarie dei rituali devozionali non possono essere rispettate perché si è introdotto lo stile di vita occidentale con il lavoro cadenzato da orari e impegni settimanali, così, le pratiche devozionali sono state ‘adattate’ a tali impegni materiali perdendo molto della loro struttura mistica. Altra contaminazione consumistica ha colpito i beni destinati alle offerte, che hanno assunto una forma ordinaria, commerciale. Nonostante tutto le pratiche di devozione mantengono la loro importanza all’interno della cultura buddista e si evolvono in base alla trasformazione della società, mentre ogni fedele buddista moderno continua ad utilizzare i riti per accrescere la propria spiritualità e consapevolezza.
Abbiamo citato poco fa la devozione nei confronti della Triplice Gemma, ricordando che si esprime prevalentemente nei confronti del Buddha anche se vi sono altri simboli che hanno un posto di rilievo nelle pratiche di devozione come il ‘fiore di loto’, ‘la ruota del Dharma’, ‘l’albero della Bodhi’, ‘lo stupa’, la ‘svastica’ (presente a volte sul petto del Buddha) e altri oggetti inanimati ritenuti sacri allo stesso modo degli stessi scritti buddisti. In alcuni casi, i fedeli, venerano anche le impronte dei piedi che, in base alla tradizione, sono state lasciate da Gautama Buddha o da un Buddha antecedente.
Nel buddismo la devozione sviluppata interiormente è ritenuta più importante dei rituali manifestati all’esterno. Le pratiche devozionali, in ogni caso, rivestono un ruolo importante nella spiritualità buddista in quanto la loro quasi totalità è orientata a creare meriti e a conseguire un vantaggio personale nel percorso verso l’illuminazione e, pertanto, rappresentano un aspetto importante della devozione.
Per quanto riguarda il buddismo Mahāyāna, si è soliti unire differenti rituali all’interno di una celebrazione triplice o settemplice. Durante la parte che caratterizza la triplice cerimonia, i fedeli dovranno rammaricarsi confessando i loro peccati, mentre esalteranno e si rallegreranno per le buone azioni compiute dagli altri. Nell’ambito della cerimonia settemplice, oltre alle pratiche descritte, si usa fare un omaggio e un’offerta mentre si implora i Buddha di non abbandonare il mondo per ritirarsi nel Nirvana (Nibbāna).
Questi rituali buddisti sono in genere preceduti da una sessione di meditazione e spesso le serie vengono ripetute anche per undici volte, includendo altre pratiche come il sostenere i cosiddetti ‘cinque precetti morali’, il ricordare lo scopo finale dell’illuminazione per ogni essere vivente e il cercare aiuto e protezione nella pratica devozionale. I vari tipi di cerimonie sono ampiamente esposte in diversi Mahāyāna sūtra tra i quali l’Avataṃsaka Sūtra e il Gandavyūha.
Lo scopo delle cerimonie buddiste è quello di ricevere benedizioni che possono essere richieste a un Buddha o a un maestro illuminato. In merito al percorso devozionale, è norma consolidata ritenere che sia le monache che i monaci buddisti siano in grado di trasferire potere spirituale tramite la loro benedizione (adhiṣṭhāna in sanscrito e adhiṭṭhāna in pali) con il canto, con un oggetto consacrato o in altro modo. Si pensa, infatti, che le qualità e facoltà spirituali dei monaci derivino dalla loro discendenza e dalla loro consacrazione.
I fedeli buddisti manifestando devozione al Buddha o ad altri esseri illuminati, hanno la possibilità di esprimere il loro pentimento al fine di affrancarsi dal karma negativo e avanzare nel proprio percorso di consapevolezza.
Il ‘merito’ delle pratiche spirituali è associato al concetto di ‘energia’ che viene raccolta tramite specifiche azioni volte a ‘creare’ merito, di frequente compiute da coloro che detengono il potere spirituale di benedire, come appunto le figure dei monaci. L’energia del merito, così raccolta, può essere incanalata verso un preciso obiettivo che si è stabilito, tramite una risoluzione meditata e decisa (praṇidhāna in sanscrito e paṇidhāna e in pali).
Questa ‘risoluzione’ può riguardare un obiettivo di tipo materiale, come recuperare la salute, essere protetti dal male, sviluppare intelligenza oppure vertere in direzione di un obiettivo spirituale come raggiungere l’illuminazione o la rinascita in cielo o ancora rinascere in una ‘Terra Pura’. Si crede poi, che il merito possa in qualche modo essere conferito ad un altro essere vivente allo scopo di aiutarlo, oppure dedicato ad una divinità che, ricevendolo, aiuterà poi il devoto come ricompensa. Oltre a ciò, il merito ha anche il pregio di diluire le conseguenze del karma accumulato.
L’inchino nel buddismo è presente in varie ritualità. I devoti lo esprimono davanti alle immagini di Gautama Buddha, verso altri Buddha e maestri illuminati per quanto riguarda il buddismo Mahāyāna.
La venerazione nei confronti dei bodhisattva si dirige verso il loro grado di compassione, nei confronti dei loro grandi poteri e delle loro capacità. Il rito della ‘prostrazione’ interessa chiunque e, nello specifico, i fedeli laici possono esprimerlo inchinandosi verso uno stūpa oppure di fronte ad un albero della Bodhi (lo stesso tipo di albero sotto il quale il Buddha raggiunse l’illuminazione) o verso un insegnante spirituale, un monaco. L’inchino può essere esplicitato anche nei confronti dei propri genitori o verso gli anziani. I monaci, a loro volta, si inchineranno davanti ad un loro fratello che ha preso i voti prima di loro e, cosa singolare, vi è la pretesa che le monache si inchinino indistintamente a tutti i monaci di sesso maschile, a prescindere da quando ciascuno di loro è stato ordinato.
L’inchino denota umiltà e rappresenta l’atto di riconoscere il percorso spirituale di chi abbiamo davanti. La norma è che ci si inchini tre volte con l’intento di esprimere un atto di ossequio nei confronti di Buddha, del Dharma e del Saṁgha. Ci si inchina giungendo le mani davanti al petto per poi spostarle al di sopra del corpo in diverse posizioni, per manifestare l’ossequio da parte delle cosiddette ‘tre porte di azione’ oppure per determinare il compimento spirituale della verità da parte di un Buddha, ottenuto tramite corpo, parola e mente.
A seguire ci si prostra portando i gomiti e la testa al suolo o distendendo in modo completo il corpo. Gli inchini possono ricoprire anche la funzione di pentimento ed essere espressi di continuo oppure possono far parte del rito della circum-ambulazione, ossia il girare intorno ad uno stupa o intorno al perimetro di un altro luogo ritenuto sacro, pratica che approfondiremo più avanti.
Uno dei riti buddisti più conosciuto è quello di donare offerte (pūjā) per esprimere deferenza e umiltà verso il Buddha o un oggetto sacro, spesso accompagnandole col canto. Si offrono fiori, che richiamano il concetto di crescita, o si accendono incensi per richiamare il ‘profumo della santità del Buddha’.
Vengono accese candele e luci per rappresentare la dispersione delle tenebre causate dall’ignoranza. Nelle pratiche del buddismo Mahāyāna, spesso si donano sette offerte: le prime due indicano l’ospitalità e le altre cinque rappresentano i sensi. Questo tipo di offerta sta ad indicare rispetto e devozione espressi tramite tutta la persona che viene simboleggiata dai cinque sensi.
Nel caso in cui le offerte siano elargite all’interno di un tempio, i fedeli si tolgono le scarpe all’ingresso, lavano con cura l’oggetto che intendono portare in offerta, si portano vicino all’immagine della divinità o allo stupa mantenendo le mani giunte e fanno poi l’offerta a seguito della quale concludono con il rito della prostrazione. Oltre alle offerte fatte alle divinità, sono considerate come una grande forma di devozione anche le offerte fatte alla collettività dei monaci. In più di una occasione le offerte, specialmente quelle di cibo, sono prima donate al Buddha e, in un secondo momento, sono consegnate ai monaci affinché possano consumarle.
Tra le pratiche devozionale suggerite e ben viste dalla spiritualità buddista vi è la ‘recitazione’ dei testi sacri. La più diffusa è la cosiddetta ‘recitazione dei Tre Rifugi’ nella quale si ripete per tre volte ogni singola frase. Tale procedura assume il nome di ‘prendere rifugio’ e si esprime menzionando il Buddha, il Dharma e il Samgha come rifugi spirituali. In questo tipo di pratica si può anche cantare i ‘ricordi’ (anussatis) oppure fare una sorta di riesame dei ‘cinque precetti’. Esistono poi i ‘canti protettivi’ (paritta in lingua Pali) che sono molto popolari, come il Karaṇīyamettā Sutta molto noto tra i fedeli.
Vi sono molti tipi di canti e in genere sono utilizzati per evitare particolari pericoli in occasione del parto, ad esempio, oppure per il matrimonio mentre ve ne sono altri ai quali si attribuisce un’azione benefica generale. La tradizione vuole che questi canti possano influire solo sulla vita del devoto che li recita con sincera fede e vi è la convinzione che migliorino l’equilibrio mentale e la salute essendo una pratica che educa il pensiero all’amabilità.
I canti sono ritenuti importanti per accrescere i risultati del karma positivo, per appagare le divinità (i deva) in quanto espressioni della verità insita in ciò che il Buddha ha insegnato. Oltre a questo tipo di canto, nel Buddismo di tipo Mahāyāna si utilizzano anche i mantra e dhāraṇī (i sutra) che comprendono anche il ‘Sutra del Cuore’ e il famoso mantra ‘Om Maṇi Padme Hum’. Nei riti buddisti, però, non abbiamo solo questo tipo di canti. Ci sono infatti altri mantra e scritti sacri custoditi all’interno di minuscoli rotoli chiusi in amuleti, gioielli e addirittura sotto forma di tatuaggio.
Quindi il canto, in quanto pratica devozionale, può essere considerato come il rito più diffuso tra la popolazione poiché è comune la convinzione che permetta di affrontare con forza le difficoltà e di sconfiggere i condizionamenti negativi della mente per sviluppare pensieri positivi. Cantare i testi sacri poi è ritenuto il modo migliore per esternare la forza terapeutica degli insegnamenti del Buddha e per portare benefici al mondo intero. Durante il canto, in numerosi rituali, si utilizzano i ‘grani di preghiera’ i quali hanno il compito di aiutare il fedele a tenere memoria del numero di recitazioni svolte e sono uno dei simboli più noti della spiritualità buddista. Ciascuna perla, secondo l’interpretazione del Buddhismo della Terra Pura è un messaggio che ricorda la magnificenza del Buddha e, per contro, dei limiti che il devoto ha in confronto a lui. Ai canti, si accompagnano ‘donazioni’ di musica tradizionale, in genere eseguita da professionisti, oppure musica dedicata ai rituali che affianca il canto come offerta alla Triplice Gemma.
Nella classica tradizione spirituale buddista, al concetto di fede viene assegnata una parte importante della pratica che prepara alla meditazione. Infatti la fede è affiancata alle buone pratiche che i fedeli utilizzano per accrescere la propria consapevolezza e aumentare la propria energia. Saranno infatti energia e consapevolezza a permettere al devoto di proseguire con costanza nell’esercizio della meditazione, avanzando in modo determinato verso la saggezza e l’intelligenza. Nei testi dedicati alle pratiche meditative, come il saggio intitolato Theravāda e denominato Visuddhimagga, sono elencate vari tipologie di personalità che accennano anche al tipo di fede che rispecchiano. Ogni individualità, dunque, necessita di esprimere il proprio criterio nel praticare la meditazione. In alcuni casi, i devoti introiettano durante la meditazione un’immagine del Buddha così che sia loro di ispirazione.
Troviamo ad esempio, nel Buddhismo Mahāyāna e nello specifico nel Buddhismo della Terra Pura, la meditazione dei ‘cinque ricordi’ fondata sulla fede in cui questi cinque punti vengono utilizzati per ricordare al devoto la generosità di Amitābha Buddha. I primi tre ricordi richiamano il corpo, la parola e la mente e i fedeli omaggiano Amitābha Buddha tramite la fisicità, con il rito della prostrazione; tramite la parola salmodiando le sue lodi e dichiarando di voler rinascere nella sua grazia in Terra Pura. Proseguendo con il ‘quarto ricordo’ si sa che riguarda alcune visualizzazioni paragonabili alla meditazione di tipo Visuddhimagga e ai passi che definiscono il Canone Pali.
Le meditazioni possono poi essere esercitate in silenzio, seguendo la cadenza del respiro. In altre forme meditative troviamo anche quella devozionale di tipo tantrico nelle quali si è soliti visualizzare la discendenza dei propri maestri e inchinarsi a loro, immaginando il proprio maestro come uno dei Buddha.
La fede devozionale si esprime poi anche tramite la cosiddetta ‘meditazione camminata’ preminente nella cultura tramandata della Terra Pura. Ci sono fedeli di questa tradizione che riescono a esercitare la meditazione camminata per ben 90 giorni di seguito. Camminando intorno all’immagine di Amitābha Buddha, i fedeli visualizzano e cantano il nome del Buddha prendendosi delle pause solo per espletare i bisogni fisiologici.
Secondo gli studiosi delle antiche religioni, la pratica devozionale del pellegrinaggio è considerata come la più spirituale e, in base alle scritture antiche, pare sia predicata da Buddha stesso.
La devozione espressa con il pellegrinaggio indica che occorre onorare quattro località che riguardano il Buddha:
Questo tipo di pellegrinaggio nelle località sacre in India e nello specifico a Bodh Gaya, luogo tra i più importanti per i fedeli, risulta molto diffuso e attualmente sta espandendosi come pratica devozionale tra le più esercitate.
I devoti buddisti realizzano un pellegrinaggio per vari motivi, come per tenere a mente la vita del Buddha, per conseguire karma positivo, per assorbire la forza spirituale del luogo sacro e degli oggetti consacrati, oppure per onorare una promessa dichiarata a un bodhisatta, per ottenere un favore o protezione da parte dei deva che vigilano sul luogo o ancora per raggiungere la pace e serenità in famiglia. Alcune volte chi fa un pellegrinaggio dedica i meriti positivi che ottiene a familiari malati o ai propri defunti. Più semplicemente accade che il pellegrinaggio venga fatto spesso per gioire dello stesso percorso, dei paesaggi e per ritrovare un momento di raccoglimento lontano dalla frenesia della vita di città.
In alcune località i fedeli fanno il pellegrinaggio a piedi oppure compiono rituali di tipo ascetico come i bagni freddi o la prostrazione lungo tutto il percorso scelto.
Tra i numerosi riti buddisti che esprimono la devozione abbiamo anche l’atto di ‘circumambulare’ per tre volte, intorno ad una raffigurazione del Buddha o di un luogo considerato sacro, avendo cura di tenere sempre la destra. In genere è consigliato muoversi in senso orario, tenendo la spalla destra orientata verso il Buddha o verso il luogo sacro, possibilmente tenendola anche scoperta.
Come luogo sacro da ‘circumambulare’ si può scegliere una montagna, un tempio oppure anche una città. Tale rito rappresenta il movimento del sole che ruota attorno alla sacra montagna cosmica ed è spesso esercitato da gruppi di fedeli nel corso delle cerimonie annuali come pure in occasione di un funerale. In genere si svolge a piedi ma può essere anche fatto a bordo di un mezzo. Tra le pratiche buddiste ne esiste anche una considerata come discutibile, ovvero l’autoimmolazione.
Secondo gli insegnamenti buddisti il corpo fisico non ha un valore vero e proprio però può diventare importante in base al modo in cui viene impiegato. Il rito buddista dell’autoimmolazione ha le sue basi sul concetto per cui lasciare il corpo mentre si compiono azioni meritorie risulta essere un atto di eroismo.
Tale pratica comparve originariamente in un capitolo del Sutra del Loto dove si narra che il bodhisattva Bhaiṣajyarāja si diede alle fiamme per offrire sé stesso in un gesto estremo al Buddha. Per i fedeli questa pratica è ritenuta come una delle più alte forme per esprimere il bene (pāramitā) e così, chi utilizza questo rito come pratica devozionale, brucia una parte del proprio corpo, come un dito o un braccio, per venerare il sūtra, nella speranza di poter rinascere sul suolo di Terra Pura. L’auto-cremazione, ovvero l’atto estremo di dare alle fiamme completamente il proprio corpo, nell’antica Cina era un gesto molto stimato al punto che veniva trasformato in evento pubblico a cui erano presenti le massime cariche dello stato.
Purtroppo abbiamo esempi recenti di questa pratica, nel periodo in cui si verificò la guerra in Vietnam quando alcuni monaci buddisti utilizzarono l’autoimmolazione per dichiarare la loro protesta per le politiche adottate.
In genere le pratiche di devozione si attuano in casa propria ma è tradizione svolgerle ritrovandosi nel tempio del luogo in cui si vive, soprattutto in occasione delle cerimonie comuni e nei giorni dedicati all’osservanza.
All’interno dei templi buddisti molto spesso vi sono dei dormitori (chiamati sanghavasa, letteralmente ‘dimora del Sangha’) destinati ai monaci che fanno meditazione sul posto, che studiano e svolgono i riti devozionali nel tempio all’interno del quale è solitamente presente una stanza dedicata alle riunioni, alla meditazione o ai sermoni in cui è possibile trovare stupa che contengono reliquie o riproduzioni dei testi sacri oppure una rappresentazione dell’albero della Bodhi. Questa stanza viene denominata buddhavasa, ovvero ‘dimora del Buddha’. Vi sono templi molto famosi all’interno dei quali sono conservate delle reliquie, come ad esempio il Tempio del Dente che si trova in Sri Lanka, oggetto di adorazione di alcune migliaia di persone ogni giorno. Gli stupa che racchiudono al loro interno sacre reliquie sono ritenuti da alcune tradizioni buddiste anche simboli dell’illuminazione.
Una nota particolare da menzionare è che i templi sono costruiti in una località ritenuta sacra in base ai punti geografici sacri del paese che li accoglie, usando anche la geomanzia oppure in quanto destinazione di un pellegrinaggio. Un altro particolare in merito ai templi è quello che prevede di collocare la statua o l’immagine del Buddha nella zona più alta della sala in modo che i fedeli possano evitare di sollevare la testa al di sopra dell’immagine o di ritrovarsi con i piedi puntati in quella direzione.
La tradizione spirituale buddista è ricca di cerimonie nel corso delle quali si realizzano i riti devozionali.
Alcuni di questi sono prettamente di origine buddista ma altri richiamano le culture che hanno preceduto il buddismo, altre ancora si rifanno al ciclo annuale dell’agricoltura, mentre ve ne sono alcune che si rivolgono a divinità riconosciute in tutta la nazione di appartenenza oppure atte a rievocazioni di eventi relativi alla storia del luogo. Molte di queste feste si svolgono in Ladakh, come l’Hemis Festival, oppure l’Esala Perahera che si svolge in Sri Lanka o ancora il Thimphu Tsechu e Paro Tsechu in Bhutan, senza dimenticare il Phaung Daw Oo Pagoda in Birmania.
Per esempio, il popolare ‘capodanno Theravada’ in alcuni paesi si celebra intorno alla metà dell’anno e, all’interno della cerimonia, sono introdotte anche tradizioni buddiste. Questa particolare ritualità comprende anche la profonda riflessione sui propri peccati e la dichiarazione di impegnarsi a fare il bene oltre all’impegno di liberare gli animali. Tra le feste più sentite dalla popolazione vi sono il famoso Vesak, l’Asalha Puja, Kathina e il Pavāraṇa Day. Ricordiamo che il Vesak rappresenta il giorno in cui viene celebrata sia la nascita che l’illuminazione oltre all’illuminazione suprema (ovvero dopo la morte) di Gautama Buddha.
Altre cerimonie buddiste venerano un particolare testo del Dharma, come il festival che si svolge in Thailandia a Thet Mahachat consacrato alla recitazione di Vessantara Jātaka che narra dello spirito regale e di come si creano i meriti. Parallelamente alle feste di tipo buddista vi sono anche alcuni giorni di osservanza (Uposatha in lingua Pali) i quali si rifanno al ciclo del calendario lunare indiano.
I giorni dedicati all’Uposatha vengono celebrati dai fedeli più rigorosi i quali si recheranno al tempio del luogo in cui vivono per occuparsi della distribuzione dei pasti e per testimoniare in prima persona i cinque o gli otto precetti, per assistere alle prediche e per praticare la meditazione. Con altre tradizioni vengono introdotti nelle pratiche adempimenti a cadenza mensile, bimestrale ma anche settimanale e giornaliera a seconda della cultura di riferimento. Esiste anche un ‘ritiro delle piogge monastiche’ detto vassa, durante il quale i fedeli possono raccogliersi e dedicarsi al canto e alla meditazione.
Per permettervi di vivere in prima persona molte delle cerimonie legate alla spiritualità buddista, noi di Conscious Journeys abbiamo organizzato dei percorsi spirituali mirati che sapranno introdurvi nell’atmosfera unica e irripetibile scandita dai ritmi delle pratiche adottate dai monaci o dandovi la possibilità di vivere in prima persona alcune tra le cerimonie più coinvolgenti legate alla devozione.
Partecipare e condividere questo aspetto della spiritualità buddista può essere paragonato al vivere un vero e proprio percorso trasformativo che tocca le corte sottili della nostra interiorità e favorisce lo sviluppo della nostra consapevolezza. Un’esperienza unica da non perdere. Vi aspettiamo con i nostri viaggi!
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