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La religione indiana non è una soltanto, ma un mix di fedi diverse. Il continente Indiano, infatti, è da sempre uno tra i paesi più tolleranti in fatto di fede religiosa. Nello specifico questa particolarità della religione in India è incarnata e promulgata dall’Induismo stesso il quale, da ben 2.500 anni, convive pacificamente con il Cristianesimo, con l’Islam, con il Buddismo e con le varie sette presenti sul territorio come i Parsi, i Sikh, il Giainismo e molte altre di cui parleremo tra poco.
La virtù della tolleranza nei confronti delle altre fedi religiose insita nei precetti dell’Induismo, è ben espressa da un passo della Bhagavadgita, il testo sacro della religione indiana, che recita così:
“Quando la bontà vacilla, Quando la cattiveria aumenta, Mi converto in corpo.
Ritorno in tutte le epoche per pronunciare il sacro,
Per distruggere il peccato del peccatore,
Per stabilire il giusto.”
Gita IV 7-8
In questi versi è racchiuso il puro concetto dell’accettazione nei confronti delle altre fedi e dei profeti che le testimoniano. Tale concetto, pertanto, contribuisce a promuovere una forma etica di credo che si fonda sulla non violenza e sulla condivisione.
In base ad un censimento realizzato intorno al 2012, l’Induismo è considerata la religione indiana più diffusa. Secondo le stime è praticato, infatti, da circa l’80% della popolazione dell’India, che come sappiamo è composta da oltre un miliardo e trecento milioni di persone. Di seguito potete vedere le varie percentuali della popolazione a seconda del credo religioso osservato:
In India sono presenti poi anche circa 2 milioni di fedeli Baha’i, 7 milioni e mezzo di Metodisti, 2 milioni e quattrocentomila fedeli per la Chiesa Battista. Abbiamo inoltre una cospicua rappresentanza delle Chiese Cattoliche Orientali (Chiesa Cattolica di Siro-Malabar), che conta circa 4,5 milioni di fedeli.
Il quadro generale della diffusione delle religioni nel continente indiano vede dunque l’Induismo come fede più praticata in quasi tutti gli stati dell’India ad eccezione di Cashmere, Punjab, Nagaland, Pradesh, Mizoram, Manipur, Arunachal, Jammu, Lakshadweep e Meghalaya.
L’Induismo, oltre che in India è molto radicato anche in Nepal, dove viene praticato da circa 23 milioni di fedeli, in Bhutan, in Bangladesh con 15 milioni di fedeli, nell’Isola di Bali dove sono presenti circa 3,3 milioni di credenti, nelle Isole Mauritius e ancora in Guyana e nelle Isole Figi.
Un chiaro esempio del clima di piena tolleranza religiosa di tipo induista è il fatto che il famoso economista e politico indiano Manmohan Singh, che è stato presidente in India dal 2004 al 2014, non è di religione induista ma Sikh.
La religione indiana è nota per essere contraddistinta da una vasta moltitudine di credi religiosi e tradizioni culturali. Sappiamo che tutta la regione centro-meridionale dell’Asia (che si estende fino al Golfo del Bengala e al Mare Arabico e che comprende India, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka) è il luogo in cui sono nate almeno quattro delle più grandi religioni del mondo. Infatti, dal culto degli antichi Veda si è evoluto nei secoli l’attuale Induismo, in seguito abbiamo visto nascere il Buddhismo grazie al principe Siddharta Gautama, oltre al moderno Giainismo, e per finire nel quindicesimo secolo è nato il Sikhismo, dalla fusione delle dottrine islamiche ed induiste.
Nel corso della sua evoluzione, la religione indiana si è rivelata essere un pilastro fondamentale della cultura e delle tradizioni filosofiche dell’intero Paese, seppure con le varie differenze che la contraddistinguono. Sia la tolleranza che la diversità in ambito religioso sono sempre state due componenti basilari presenti in modo incisivo nelle memorie delle antiche culture come pure nella legislazione attuale del Paese.
Oltre alle percentuali cui abbiamo accennato in merito alla diffusione delle fedi religiose nel subcontinente indiano, vi sono altre tradizioni religiose a carattere tribale di minore entità ma ugualmente importanti come la fede Santal, le Adivasi o il Sanamahismo, insieme ad alcune forme di animismo.
La grande varietà dei credi religiosi attualmente presenti in India può essere considerata come la naturale conseguenza di una fitta coesistenza di numerose tradizioni religiose native, originarie dei luoghi interessati da questo fenomeno, unitamente al fatto che vi sono state molte contaminazioni culturali giunte dall’esterno tramite i commercianti, le immigrazioni e i semplici viaggiatori che hanno visitato il continente e, non ultimo, l’apporto culturale dei popoli che nei secoli hanno invaso e conquistato queste terre come i musulmani della dinastia Moghul.
Lo zoroastrismo (detto anche mazdeismo) e lo stesso ebraismo per secoli hanno avuto una presenza storica nel paese e a tutt’oggi contano molti fedeli. Proprio la comunità mazdea (che riunisce gli Irani e i Parsi) è, insieme al gruppo Baha’i, la collettività religiosa più numerosa al mondo, nonostante entrambe non siano originarie dell’India bensì dell’Iran.
Il collegamento tra dottrina Baha’i e tradizione spirituale della religione indiana è in realtà assodato sin dalle origini poiché la spiritualità indiana afferma tra i suoi assunti che sia Siddharta per i buddhisti che il Krishna per gli induisti, rappresentano entrambi un’emanazione del Dio che può tutto.
La religione induista è in molti casi ritenuta come la fede tra le più antiche al mondo, al punto che le sue radici potrebbero essere fatte risalire agli albori del periodo preistorico. Nei secoli, le dottrine nate sugli insegnamenti dei Veda e dei Brāhmaṇa, confluirono gradualmente nel moderno induismo che si è poi progressivamente esteso, tramite le immigrazioni, sia in Sri Lanka, come in Malaysia, Indonesia, Singapore ed anche nei Caraibi.
Gli induisti venerano una divinità multiforme le cui origini risalgono probabilmente all’epoca mesolitica, un dato che si evidenzia grazie al ritrovamento di graffiti nelle aree della parte centro meridionale dell’India.
Possiamo considerare l’induismo come un insieme di buone pratiche per vivere la vita, piuttosto che come vera e propria religione. Infatti questa religione indiana non ha al suo interno dei ‘dogmi’ inflessibili e, nonostante il suo fulcro nodale abbia un enorme spessore dal punto di vista filosofico sostenuto da insegnamenti a carattere teologico, promulga un criterio di esperienza spirituale vissuta principalmente a stretto contatto con la realtà, nel contesto del quotidiano, come ricerca costante del divino e della dimensione superiore dell’essere.
I punti cardine dell’induismo, dunque, ruotano attorno ad alcuni aspetti fondamentali:
Una dottrina ricca di spunti di riflessione per chiunque, quindi, indipendentemente da ciò in cui si crede.
Tra il quattordicesimo e il diciassettesimo secolo, nel periodo in cui la parte nord dell’India era assoggettata all’egemonia dell’Islam, ci furono i primi sviluppi del movimento religioso denominato bhakti, poi diffusosi nelle altre zone settentrionali e centrali dell’India.
Tale corrente religiosa fu fondata da un gruppo eterogeneo di saggi, filosofi e guru denominati Sant Mat. Questi saggi erano: Chaitanya, Mahaprabhu, Vallabhacharya, Sūrdās, Meera Bai, Kabīr, Tulsidas, Ravidas, Namdeo.
Tra i massimi esponenti del movimento di Sant Mat nell’India del Nord abbiamo il mistico Tukaram, oltre ad altri religiosi di spicco. Queste menti illuminate hanno portato, con il loro contributo, i fedeli a comprendere che potevano esprimere la loro spiritualità anche senza dover necessariamente ricorrere ai complessi rituali legati alle caste o lanciarsi in complicate argomentazioni filosofiche ma, in modo del tutto naturale e spontaneo, dedicarsi alla spiritualità comunicando la propria devozione tramite il proprio amore convogliato verso la divinità.
Nel tempo, gruppi di fedeli induisti, che non erano stati inseriti nell’organizzazione delle caste, come gli intoccabili o i parìa, si unirono al movimento Bhakti seguendo gli insegnamenti dei Sant Mat delle proprie comunità.
La religione Sikh è stata fondata dal Guru Nanak, vissuto tra il 1469 e il 1539. Il testo sacro di riferimento, il Guru Granth Sahib, è stato scritto dal quinto guru chiamato Arjan Dev, il quale ha elaborato molti degli scritti tramandati dai saggi che lo hanno preceduto e da altri mistici del tempo. La particolarità del Sikhismo è che promulga la perfetta uguaglianza degli esseri umani di fronte all’essere divino supremo: Vahiguru e ciò è asserito a prescindere dal colore della pelle dell’individuo, dalla sua condizione di nascita o dal livello sociale di appartenenza. Altro particolare che contraddistingue questa corrente spirituale è che essa rifiuta il carattere politeistico della religione induista, così come rifiuta di adottare l’usanza della circoncisione per il sesso maschile presente nella regola musulmana.
In India, grazie all’apertura culturale e alla spiritualità ritenuta come stile di vita, coesistono da secoli anche religioni di tipo monoteistico. Vediamole singolarmente.
In base alla documentazione arrivata fino ai giorni nostri, si è stabilito che gli ebrei arrivarono in India intorno al 562 a.C. come mercanti, partendo dalla terra giudaica per approdare a Cochin, nella regione del Kerala. In seguito, un’altra migrazione di massa si verificò all’incirca nel 70 d.C. quando i romani causarono la distruzione del Secondo Tempio.
Per quanto riguarda la presenza del cristianesimo nel Paese, secondo le indicazioni degli studiosi, sembra che sia stato uno degli apostoli, e precisamente San Tommaso a recarsi proprio a Kerala intorno al 52. Fu a Muziris che San Tommaso si trovò a dare il battesimo ad alcuni ebrei di Cochin che, nel corso degli anni verranno identificati come i cristiani di San Tommaso o siriani-Nasrani, comunità nota ancora oggi. Ai giorni nostri, il cristianesimo nel continente indiano è attuale in varie declinazioni: come cattolicesimo romano, come chiesa ortodossa orientale, come protestantesimo. I fedeli che praticano la religione cattolica sono all’incirca 17,5 milioni, quindi poco meno del 2% della popolazione. Molti dei cattolici si trovano a Goa, nella regione del Kerala, ma sono presenti altre comunità di cristiani nelle regioni a Nord-Est. La religione cristiana in India ha visto una considerevole espansione sin dal quindicesimo secolo specialmente in concomitanza delle esplorazioni dei missionari che prima furono cattolici portoghesi e a seguire, nel diciottesimo secolo, fu la volta degli inglesi protestanti.
La religione islamica è comparsa in India all’inizio del settimo secolo grazie alle spedizioni delle carovane dei mercanti arabi. Il suo insediamento e la sua diffusione nel panorama delle religioni indiane prendono origine però dalle invasioni musulmane che iniziarono nel tredicesimo secolo, in un primo momento sotto l’egida del sultanato di Delhi e in seguito con l’impero della dinastia Moghul, espansione agevolata anche dalla semplificazione dei concetti apportata dalla mistica sufi.
Quelle elencate finora sono le religioni indiane che potremmo definire ‘ospiti’, mentre adesso ci occuperemo di una serie di correnti spirituali che esprimono al meglio la varietà della religione indiana in senso più stretto.
La spiritualità Jain è stata creata, in base alle tradizioni tramandate nei secoli, da un alto lignaggio di mistici illuminati che terminano con Parshva nel nono secolo e Mahavira nel sesto secolo avanti Cristo.
Proprio Mahavira, il ventiquattresimo Tirthamkara della fede giainista, si soffermò sulla rilevanza dei 5 impegni o voti spirituali che sono l’ahimsa (voto di non-violenza) assoluta, il ricercare la satya (la verità), osservare l’asteya (il non rubare) e professare l’aparigraha (il non attaccamento).
I giainisti di orientamento più ortodosso considerano i precetti dei Tirthamkara precedenti come esistenti da sempre, mentre gli esperti nello studio delle religioni asseriscono che Parshva, il mistico al quale è stata assegnata la posizione di 23° Tirthamkara, sia stato in realtà principalmente una figura storica. Vi è poi la convinzione che i Veda stessi possano aver dimostrato la reale esistenza di alcuni di questi antichi mistici come facenti parte dell’ordine monastico shramana ad indirizzo ascetico.
La religione buddista fu fondata, in base alla storia tramandata nel tempo, dal principe Kshatrya Siddharta Gautama, che scelse di praticare l’ascetismo in forma itinerante.
Il buddismo, grazie all’impegno dei fedeli e dei monaci missionari, si diffuse ben presto anche al di fuori dell’India. La sua presenza nel continente indiano è andata calando nel corso dei secoli ma è ben radicato in Nepal, Sri Lanka, Tibet ed è in ogni caso la religiosità più presente in tutto il Sud Est asiatico e nella parte orientale dell’Asia.
Gautama Buddha, nato a Lumbini e definito con l’appellativo di ‘risvegliato’ (la parola ‘Buddha’ significa infatti ‘risvegliato’) era parte attiva della cerchia Shakya, gruppo che viveva a Kapilavastu, l’attuale Nepal del sud. La casata Shakya, ebbe l’appoggio di rishi Angiras e di Gautama Maharishi, due dei più famosi tra i sette saggi e mistici della fase vedica, i quali erano diretti discendenti del lignaggio reale Ayodhya.
La caratteristica del Buddismo è la focalizzazione sul percorso di illuminazione (Bodhi) che porta al Nirvana e all’affrancamento finale (la moksa hindù) dalla ruota delle rinascite (Samsara o reincarnazione) e dal costante dolore che quest’ultima produce (sofferenza o duhkha). Al fine di raggiungere questo scopo i fedeli seguono un percorso stabilito da due scuole distinte: la scuola del buddhismo Theravada, detta anche “la Via degli Anziani”, prevalentemente praticata nello Sri Lanka, Thailandia, Birmania ed anche nel sud est dell’Asia e la scuola del buddhismo Mahāyāna, detta anche “Via Grande o Maggiore”, osservata in prevalenza nel Tibet, in Cina e in Giappone.
Nonostante vi possano essere alcune differenze tra queste due scuole nel perseguire l’obiettivo della liberazione dalla ruota delle rinascite, di norma la pratica è strutturata attraverso sette passi che mirano alla purificazione (chiamata vishuddhi). Questi passaggi sono nell’ordine:
Come abbiamo già accennato in precedenza, la religione indiana presenta molte sfaccettature che ne fanno una preziosa opportunità di apertura e condivisione. A differenza della religione cattolica, strutturata su dogmi pressoché granitici, la spiritualità indiana è costituita da caratteristiche estremamente elastiche che permettono la coesione di incongruenze che per noi occidentali potrebbero apparire come inconcepibili.
L’Induismo, ad esempio, ma non solo, nel corso dei secoli pur conservando la sua forma originaria si è diviso in molte scuole o gruppi spirituali che hanno seguito nel tempo la devozione verso una o più divinità differenti.
Esistono dunque varie sette come i vaishnava, fedeli di Visnu caratterizzati e riconoscibili dal segno sulla fronte che raffigura una linea rossa verticale con due linee bianche inclinate. Possiamo considerare come facenti parte dello stesso gruppo anche i krishnaiti, fedeli di Krishna, considerato una delle successive reincarnazioni di Visnu.
Proprio i krishnaiti si ispirano alla Bhagavad Gita e Bhagavat Purana, le sacre scritture indiane che narrano le gesta eroiche e le leggende del dio che liberò il popolo di Mathura (la città consacrata a Krishna, che vi nacque nel quarto millennio) dalle minacce del drago.
I fedeli di Krishna onorano la bakthi, ovvero il servizio devoto nei confronti della comunità, che si esprime attraverso la cura dei bisognosi e dei malati, allo scopo di avvicinarsi all’illuminazione.
Questa setta, a sua volta, ha ulteriori quattro ramificazioni:
Un altro movimento religioso filosofico indiano è lo shaktismo. I fedeli di questa corrente religiosa venerano la dea Shakti, la quale incarna l’energia creatrice femminile che colma l’intero universo, devozione che richiama il culto della “Grande Madre”, condiviso da molte culture e civiltà antiche del Mediterraneo.
Shakti, considerata sorgente di amore e dolcezza, è venerata anche nel suo lato ombra, la potenza terrificante che infligge la morte a chi disattende la legge divina. In questa veste il suo nome diventa Durga o Kali, la divinità che risiede sulle cime dell’Himalaya, e che viene raffigurata avvolta da serpenti e teschi umani. Gli adepti della setta manifestano la loro devozione alla dea tramite rituali e sacrifici.
Proseguiamo il nostro viaggio nell’esplorazione della religiosità indiana e troviamo la setta dei Ganapa (Ganapatya), coloro che venerano Ganesha, la divinità con la testa di elefante che, secondo la narrazione, sarebbe figlio di Shiva e Parvati.
Il dio Ganesha era venerato in antichità come dio che promuove la fertilità e l’operosità mentre oggi richiama il concetto di saggezza e conoscenza anche se tutt’ora viene invocato prima di cominciare ogni progetto importante.
I Sauryapatha fedeli di Surya, l’arcaica divinità solare dei Veda, rappresentano una delle sette più antiche. Una delle formule rituali più osservata dai devoti è il saluto al sole con la preghiera Surya Namaskar, che onora il rinnovarsi della vita nei suoi cicli.
Vi sono poi alcuni movimenti che non possono definirsi prettamente religiosi come l’Hata Yoga, che però viene annoverato nella disciplina induista a causa della considerazione che ne hanno promulgato diverse scuole di pensiero.
Ai suoi albori questo insegnamento era nato come risposta in antitesi alle rigide forme di ascetismo e misticismo portate avanti dai gruppi ad orientamento filosofico e prettamente intellettuale.
Con l’Hata Yoga il neofita si esercita nel controllare il proprio corpo, raffinandone la potenzialità, in contrasto con il concetto espresso dal buddhismo secondo cui il corpo è sede di dolore. I mistici yoga prendono il nome di siddhi o yogi, ovvero chi è riuscito a controllare la propria fisicità e l’energia (identificata come kundalini) presente nel corpo, grazie allo sviluppo della forza di volontà.
L’obiettivo fisico dello yoga è proprio quello di far fluire l’energia della vita che scorre attraverso il respiro. Ecco che, per raggiungere lo stato di ‘siddhi’, i praticanti si allenano con il pranayama, cioè la tecnica del controllo del respiro in base alla quale è necessario guidare il respiro secondo una modalità fluida e armonica in modo che, mente e respirazione, possano seguire un unico flusso.
A corredo di queste modalità abbiamo anche il padmasana, la classica ‘posizione del loto’ che possiamo vedere in molte delle rappresentazioni pittoriche delle divinità induiste. Questa posizione, unitamente alla pratica delle varie discipline mistiche in seno all’Hata Yoga se perseguite con regolarità, aiutano ad avanzare sul cammino dell’illuminazione definito Asamprajnatasamadhi altrimenti detto ‘completo assorbimento’.
Abbiamo poi ben due movimenti che si discostano in modo considerevole dai gruppi appena descritti, a causa di un posto rilevante che occupano nella religione del continente indiano. Queste due discipline sono il tantrismo e il lamaismo tibetano.
Col termine tantrismo intendiamo una delle modalità spirituali indiane che ha suscitato molto interesse in occidente. Questa disciplina deve il suo nome ai libri sacri Tantra, scritti intorno al sesto secolo d. C., e in sostanza possiamo identificare il tantrismo come una declinazione di tipo magico ed esoterico dei contenuti della religione indù.
Questa affermazione trova riscontro nelle origini storiche che la farebbero risalire alle pratiche sciamaniche antiche, sperimentate dai mistici induisti e buddhisti del quarto secolo d. C. i quali cercarono di introdurre l’importanza dell’interdipendenza dell’uomo con la natura.
Il Tantrismo riporta al concetto della Dea Madre Aditi, risalente ancora prima dell’epoca dei Veda, venerata come essenza dell’energia del femminino espressa sia dalla dea Kali che da Durga, chiamata la divinità delle cento braccia le quali si fondono con l’unione in Shiva. In base alle credenze del tantrismo, la natura ha origine dalla declinazione della dea in varie espressioni: con la dea deputata all’abbondanza passando per Annapurna, chiamata la dea delle cime per poi proseguire con Laksmi, compagna di Visnù e infine con Maryammei, la divinità che incarna la malattia e la morte.
L’emanazione maschile più importante della divinità, per questo gruppo religioso, è il dio Shiva il quale, unitamente all’aspetto femminile Shakti rappresenta i due aspetti (maschile e femminile) che sono sia opposti ma al tempo stesso complementari. Qualunque evidenza della realtà, in base agli assunti del tantrismo, è infatti caratterizzato da una doppia polarità.
Per questo motivo, nell’iconografia artistica del tantrismo, troviamo spesso Shiva raffigurato con caratteristiche androgine, il dio Ardhanarisvara, con il corpo disegnato per metà vestito in modo maschile e l’altra metà con le sembianze di corpo femminile.
L’obiettivo del praticante tantrico è quello di fare il proprio percorso individuale al fine di raggiungere l’armonia che allinea i due aspetti presenti in ciascuno di noi: la parte maschile e quella femminile.
Dal momento che il corpo è una componente della natura e dell’intero universo, l’adepto, per guidarlo sul percorso dell’illuminazione, deve riuscire a dirigere gli input corporei attraverso l’uso di specifici riti, pratiche di meditazione e mantra.
Il tantrismo, a sua volta, si declina in due diverse scuole di pensiero: quella cosiddetta della ‘mano destra’, chiamata Daksinatantra e quella della ‘mano sinistra’ di tipo prettamente esoterico, chiamata Vamatantra.
La via della ‘mano destra’ può essere paragonata agli insegnamenti che vengono formulati dalle scuole di yoga. La scuola relativa alla ‘mano sinistra’ invece, risulta seguita ed esercitata da un numero minore di persone. Il rituale specifico adottato da questa scuola si basa sulla pratica chiamata ‘mithuna’, un tipo di unione sessuale in modalità mistica che richiama l’accoppiamento tra le divinità Shiva e Shakti, l’unione della polarità maschile e femminile.
Proseguiamo ora con un’altra setta molto importante nel panorama della religione indiana: quella legata al lamaismo.
Questa corrente religiosa propria del Tibet può essere considerata come una sorta di fusione tra il buddhismo indiano e la pratica sciamanica delle tribù Bon insediatesi nelle zone dell’Himalaya che comprendono lo stato del Bhutan e il Ladakh.
Il lamaismo, secondo la leggenda, è stato fondato dal padma Shambaya, un saggio nato in Kashmir che secondo i miti del tempo sarebbe nato da un fiore di loto, il quale visse nel Tibet nei primi anni dell’ottavo secolo d. C.
Nel corso del tempo le teorie cosmologiche del Lamaismo si modificarono tramite l’apporto di altri saggi fino ad introdurre varianti relative ai miti originari sulla configurazione del mondo.
I rituali di questa disciplina sono molto complessi e vi partecipano religiosi che indossano un abbigliamento particolare molto prezioso e sfarzoso. In realtà gli insegnamenti derivano in linea diretta dal buddhismo di tipo mahayana il quale afferma che ogni essere può aspirare ad affrancarsi dalla ruota delle rinascite e quindi dalla morte, tendendo al raggiungimento del nirvana attraverso la mistica e l’osservanza delle pratiche yogiche.
Da quanto abbiamo appena illustrato in merito alla varietà e alle sfaccettature della religiosità indiana, possiamo capire come la cultura, le tradizioni e la spiritualità siano state delle componenti fondamentali per l’evoluzione della mistica di questo popolo eterogeneo.
Il filo conduttore dell’insegnamento che possiamo ricavare dalle caratteristiche di ogni singolo movimento religioso che abbiamo descritto, punta in modo netto ad evidenziare l’assoluta libertà di credo dell’essere umano il quale deve essere onorato e rispettato proprio in quanto tale e, per questo, ennesima espressione della volontà divina.
Una grande lezione di apertura e accoglienza che ci insegna a guardare all’altro come un ‘altro me’ che sta facendo un’esperienza di vita diversa e per questo deve essere accolto e rispettato. Una grande lezione di umiltà e condivisione dalla quale possiamo trarre un profondo insegnamento.
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